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La Transizione “dolce” fallirà…

Creato il 11 aprile 2014 da Lundici @lundici_it
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Qualche giorno fa è uscito un interessante studio del National Socio-Environmental Synthesis Center, finanziato parzialmente dalla Nasa, e dedicato alle prospettive future del sistema industriale tecnologico e al suo possibile collasso nelle prossime decadi.

Il suddetto studio prende in considerazione diverse variabili che vanno dall’approvvigionamento energetico fino alle diseguaglianze crescenti fra i vari ceti sociali, analizzando le possibili evoluzioni nei prossimi anni e giungendo ad una conclusione assai sconfortante: il nostro modello di sviluppo attuale è insostenibile e destinato al collasso entro breve.

Nei decenni precedenti si sono susseguite numerose ricerche e report su questi argomenti (come il famoso studio del Club di Roma), ma negli ultimi tempi, con l’accelerazione e l’intersecazione di diverse crisi, queste tematiche si sono fatte sempre più pressanti e attuali. Un’attualità che ha spinto diverse persone nella teorizzazione di una possibile soluzione per migliorare il modello,

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e quindi renderlo sostenibile, oppure per sostituirlo con un nuovo paradigma, più equilibrato e umano.

La “dolce” transizione

Uno degli studiosi e teorizzatori del cambio di paradigma è sicuramente Nafeez Ahmed, direttore dell’Iprd (http://iprd.org.uk/) e autore di questo interessante articolo sulle possibili soluzioni da attuare. Al contrario del pessimismo diffuso nella nostra società, l’autore propone una reazione su vasta scala, partendo dal basso, che cambi i paradigmi delle nostre strutture politiche, economiche e sociali in modo da favorire un modello di Sistema equilibrato, in armonia con l’ambiente e votato alla cooperazione fra gli esseri umani (i 10 punti in fondo all’articolo). In sintesi, potremmo definire la soluzione proposta come una Transizione “dolce” sul lungo periodo, in cui l’umanità prende coscienza dei limiti e dei disastri del capitalismo globalizzato e lo sostituisce gradualmente con un nuovo modello.

Anche altri studiosi, come Serge Latouche, propongono teorie volte ad una nuova etica cooperativa e focalizzate sul risveglio/presa di coscienza da parte dell’umanità. Sebbene, partendo da un punto di vista realistico e osservando le dinamiche attuali, non possa non sorgere qualche dubbio sull’effettiva fattibilità di una soluzione del genere, alla luce dei sinistri segnali che provengono dal mondo moderno.

I limiti di queste soluzioni

Uno delle prime questioni che attanagliano gli attuali teorici del paradigma è sicuramente il fattore temporale. Se viene dato per scontato che il Sistema collasserà, diventa però decisamente più difficile collocare il punto di non ritorno e quindi comprendere se una transizione graduale dal basso possa funzionare in tempo.

La decadenza e fine dell’Impero Romano, presa come grande esempio della fine di una civiltà, si sviluppò nell’arco di quasi tre secoli e in un contesto limitato e tecnologicamente inferiore. Nel nostro caso invece abbiamo a che fare con un Sistema globale tecnicamente avanzatissimo e in continua accelerazione esponenziale. Un suo collasso sarebbe nettamente più rapido e catastrofico,  (invece che secoli, pochi decenni o addirittura pochi anni nel peggiore degli scenari)  con impatti planetari e dalle conseguenze imprevedibili. In un contesto simile, le soluzioni di transizione basate sulla cooperazione dal basso, potrebbero fallire ancora prima di incominciare. O quantomeno non potrebbero avere effetti in tutto il pianeta, ma solo in piccole aree, che hanno avuto la lungimiranza di adottare

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misure alternative.

Un altro grande limite di queste teorie è proprio la cooperazione della razza umana. Guardando la storia degli ultimi 10.000 anni, si può osservare come all’interno delle varie civiltà sia sempre esistita una cooperazione mischiata con una competizione, sfociata spesso in conflitti e guerre. Solo in poche tribù e realtà tecnologicamente poco avanzate, ha sempre prevalso la cooperazione rispetto allo scontro e alla prevaricazione.

All’interno della moderna società industriale (votata alla “crescita” infinita) sono avvenuti i più devastanti conflitti militari della Storia e unicamente grazie allo spettro dell’annientamento nucleare si è impedito, fino ad ora, lo scontro fra grandi potenze (ma non le guerre civili o le guerre per interposta persona nel terzo mondo).

Di fronte a tali fatti, sorgono profondi dubbi su queste teorie che coinvolgono miliardi di individui, divisi per questioni culturali, politiche, sociali, economiche e religiose, i quali dovrebbero cooperare alla luce del possibile collasso. I precedenti avvenimenti umani dimostrano che spesso la gente non reagisce se non a disastro avvenuto. Nel nostro contesto la situazione potrebbe essere anche più grave, dato che il benessere della Modernità ha illuso e “drogato” la popolazione globale, la quale sarà poco disposta a rinunciare alle conquiste materiali (come gli occidentali) o ai sogni di gloria futura (come i paesi emergenti).

Infine, non si può non menzionare il rapporto fra le élite e le masse, che sta volgendo verso una diseguaglianza più marcata, tanto da far riscoprire il termine “plutocrazia”, non più solo all’interno del terzo mondo, ma anche nel primo mondo sviluppato.

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Una reazione dal basso inevitabilmente dovrà fare i conti con una contro-reazione dall’alto. Non è pensabile che le attuali classi dirigenti rinuncino spontaneamente ai loro privilegi e alle loro ricchezze. Nella Storia è quasi sempre accaduto il contrario, tanto che il ceto aristocratico romano, l’aristocrazia francese e altre forme di regimi, hanno trascinato le proprie società nel baratro, fino a quando qualche potere esterno o nuova elite emergente non li ha spazzati via. Non si può pretendere che “l’aristocrazia” faccia la rivoluzione contro se stessa. E come è già accaduto in passato, i nuovi “rivoluzionari” dovranno fare inevitabilmente i conti con le rappresaglie del potere attuale, le quali nei momenti di massima emergenza si potrebbero trasformare in un drammatico bagno di sangue.

In poche parole non bisogna farsi illudere dalla pace sociale all’interno dei paesi occidentali, garantita anche grazie alla presenza di un forte ceto medio: un ceto medio che sta sparendo, così come presto spariranno le illusioni su un nuovo “boom economico”.

Resistenza all’Impatto e “Guerra” Valoriale

Le difficoltà enormi e i limiti evidenti delle soluzioni “globali” non devono però permettere l’eccesso opposto, ovvero il pessimismo fine a se stesso e il disfattismo generale. Se, come ritengo, la Transizione “dolce” fallirà e rimarrà un’utopia, allo stesso tempo però sarà possibile adottare una prospettiva più limitata e realistica, che coinvolga ambiti territoriali locali e disgiunti fra di loro.

La soluzione più immediata deve consistere nella resistenza contro il collasso e le sue reazioni imprevedibili. In questo caso sarà

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molto più facile coordinarsi a livello locale, senza auspicare grandi riunioni globali, che finirebbero (come già finiscono) in dibattiti sterili e inutili.

Ma la partita principale riguarderà soprattutto l’aspetto organizzativo e le dottrine future. Un cambio di paradigma di civiltà dovrà necessariamente comportare l’emergere di nuovi valori e  ideologie/credenze in grado di supportarli. Valori che entreranno in conflitto diretto con l’ancien regime. Senza la loro fondamentale presenza, non sarà possibile costruire alcuna organizzazione preposta al cambiamento e tanto meno si creeranno leader in grado di veicolare le nuove idee e guidare la popolazione verso il cambiamento.


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