La sonda della NASA Voyager 1, lanciata nel 1977 e nello spazio interstellare dal 2012, è ancora sotto l’effetto dell’ultima onda d’urto che l’ha colpita lo scorso febbraio, come risulta dai dati inviati sulla Terra. In realtà la sonda spaziale (una delle prime ad avventurarsi nell’esplorazione dei confini del Sistema solare) ha registrato ben tre onde d’urto, una delle quali (quella di aprile 2013) ha confermato ai ricercatori della NASA l’entrata nello spazio interstellare il 25 agosto 2012 avendo oltrepassato l’eliopausa, cioè il confine estremo del nostro sistema planetario entro cui i venti solari vengono bloccati dal mezzo interstellare. Gli anelli di plasma incontrati da Voyager 1 erano 40 volte più densi di quelli precedentemente misurati. Questo è stato fondamentale per affermare che la sonda aveva oltrepassato la frontiera dello spazio interstellare. La navicella della NASA, che ha anche una gemella Voyager 2, è l’oggetto costruito dall’uomo attualmente più di distante nel Sistema solare: si trova, infatti, a 130 unità astronomiche dal Sole (quasi 20 miliardi di chilometri). Entrambe le sonde della missione Voyager hanno effettuato dei flyby attorno a Giove e Saturno. Voyager 2, lanciata prima di Voyager1, ha anche transitato vicino a Urano e Nettuno, ma non ha ancora raggiunto lo spazio interstellare.
Quella registrata a febbraio è l’onda d’urto più longeva mai studiata da Voyager. Le onde d’urto registrate dagli strumenti a bordo hanno mostrato che se ci trovassimo con una navicella nello spazio interstellare, il viaggio potrebbe essere più che movimentato, contrariamente all’immaginario di uno spazio calmo e tranquillo. I dati sono stati presentati all’American Geophysical Union meeting a San Francisco.
Quando si verificano queste onde d’urto? Il responsabile è il Sole, come sempre accade nel nostro Sistema. Si verificano quando la nostra stella madre emette un’espulsione di massa coronale, buttando fuori una grande quantità di plasma magnetico dalla sua superficie. Questo genera un’onda di pressione (proprio simile a uno tsunami sulla Terra) e quando scorre nel plasma interstellare – le particelle cariche presenti nello spazio tra le stelle – si crea un’onda d’urto che perturba il plasma. «Lo tsunami spaziale fa sì che il gas ionizzato che è là fuori vibri come una campana», ha detto Ed Stone, scienziato della missione Voyager presso il California Institute of Technology di Pasadena.
Dicevamo che questa è la terza onda d’urto rilevata. La prima, invece, si è verificata tra ottobre e novembre 2012 e la seconda tra aprile e maggio 2013 (quando è stata registrata una quantità di plasma ancora più elevata). La sonda, nel corso degli ultimo anno, ha macinato una bella distanza (circa 400 milioni di chilometri). I ricercatori stanno cercando di capire perché gli effetti di questo terzo tsunami spaziale siano ancora percepibili, e affermano che queste onde d’urto si propagano molto lontano nello spazio, probabilmente anche due volte la distanza tra il Sole e la sonda.
Fonte: Media INAF | Scritto da Eleonora Ferroni