Lo Xinjiang e la stabilità dell’Asia centrale

Creato il 01 luglio 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Il recente attentato al mercato di Urumqi conferma quello che alla fine dello scorso ottobre, dopo l’attentato a Piazza Tienanmen, sembrava essere l’inizio di una nuova campagna terroristica in Cina. Quella messa in atto però, appare come una nuova strategia volta alla destabilizzazione anche per un altro aspetto. Si evince, infatti, una novità nel modus operandi dei terroristi operanti in territorio cinese, ossia l’utilizzo per la prima volta di autobombe guidate da kamikaze. L’approccio è quindi nuovo e potenzialmente più devastante. I timori di Pechino dopo l’attentato del novembre 2013 sembrano dunque fondati.

La reazione all’attentato di Piazza Tienanmen è stata la creazione di un Comitato di sicurezza nazionale, voluto dal Presidente Xi Jinping per rispondere alla minaccia in un momento importante per la Cina e per la regione dello Xinjiang 1.

L’attentato di Urumqi è avvenuto a margine degli incontri tra il Presidente cinese e il Presidente russo Vladimir Putin, mentre le relazioni russo-cinesi si stanno sempre più sviluppando, in particolare nel settore energetico. Lo Xinjiang è strategico poiché attraverso questa regione passano molti dei gasdotti e degli oleodotti con i quali la Cina si rifornisce in Asia centrale, mentre la stessa Russia trasporta petrolio in Cina attraverso l’oleodotto sino-kazako Atasu-Alashankou che termina proprio nello Xinjiang.

La Cina considera l’Asia centrale come un’area indispensabile per la propria diversificazione nelle forniture energetiche. Pechino, infatti, ha stipulato contratti energetici con i Paesi della regione costruendo pipeline che attraversano tutta la regione, come il gasdotto dell’Asia centrale lungo 1.840 km 2. Va ricordata, inoltre, la direttrice energetica che dovrebbe collegare lo Xinjiang all’Asia meridionale. Il progetto volto alla creazione di un corridoio economico ed energetico, che dal porto di Gwadar in Pakistan arrivi a Kashgar in Cina, è tuttavia denso di problematiche, non solo interne alla Cina. Gwadar, secondo diversi progetti, dovrebbe diventare anche uno snodo per il prolungamento verso la Cina del gasdotto Iran-Pakistan.

Lo Xinjiang è dunque speculare all’intera regione dell’Asia centrale e meridionale, e la sua stabilità è perciò una condizione essenziale per Pechino, ma non solo in ambito energetico. La Cina sta sviluppando una serie di politiche finalizzate alla creazione di quella che è chiamata la “Nuova via della seta”, ossia la realizzazione di una fascia di sviluppo economico che ricalchi quella che fu l’antica via carovaniera. Progetto idealizzato da più parti, anche da Washington, si sta però sviluppando sempre più grazie all’impulso cinese. La creazione dei corridoi regionali che collegherebbero la Cina fino all’Europa è finanziata nell’ambito del progetto Central Asia Regional Economic Cooperation (CAREC): assistito da sei organizzazioni internazionali economiche, questo programma prevede l’ammodernamento delle reti autostradali e ferroviarie della regione. Altri obiettivi sono volti ad intensificare la cooperazione in materia doganale e a favorire la realizzazione di associazioni di spedizionieri regionali. L’obiettivo finale è dunque quello di facilitare gli scambi nella regione e verso il resto dell’Eurasia 3. La Cina resta comunque l’attore principale, vista la sua forza attrattiva e la celerità nell’elaborazione e messa in opera di investimenti legati non solo alle infrastrutture. La creazione di zone economiche speciali come quella di Korgas al confine con il Kazakhstan ne è un esempio.

Tuttavia, Pechino cerca nella regione anche una via di contenimento all’instabilità proprio dello Xinjiang, che potrebbe potenzialmente essere un fattore di polarizzazione non solo di turbolenze per la Cina, ma anche per l’intera regione. Attentati terroristici sono, infatti, avvenuti anche in Kazakhstan, mentre la Russia ha subito attacchi di matrice islamica e separatista nel Caucaso.

In questo contesto s’inserisce il ritiro delle truppe NATO dall’Afghanistan, dal momento che Pechino considera questo evento foriero di potenziale instabilità. Sembra, infatti, che i guerriglieri uiguri siano stati addestrati in Afghanistan, base operativa di diversi gruppi che usano il Paese come territorio d’addestramento. Inoltre, la presenza di guerriglieri uiguri tra le fila dei combattenti in Siria alimenta ulteriormente la tensione: l’esperienza di combattimento acquisita sul campo siriano e i contatti che i separatisti uiguri hanno sviluppato con altre sigle terroristiche sono un dato certo con il quale Pechino dovrà confrontarsi4. Esponenti uiguri sono poi presenti in Turchia, con la quale condividono le origini, dal momento che gli uiguri rappresentano, infatti, un’etnia di origine turcofona. Le rivendicazioni indipendentiste degli uiguri nello Xinjiang mirano alla creazione del Turkestan orientale 5. Pechino è stata poi minacciata direttamente da Al Qaeda, portando alla considerazione dei legami tra quest’ultima e le diverse sigle che operano nello Xinjiang 6. La Cina ha quindi intensificato i rapporti nell’ambito della sicurezza con i Paesi della regione, mentre nell’ambito dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (OCS) si è sviluppata maggiormente la struttura regionale anti-terrorismo RATS SCO (The Regional anti Terrorism Structure)7.

Lo Xinjiang vive attualmente una fase di sviluppo dopo decenni di arretratezza. La regione autonoma, infatti, ha beneficiato per ultima delle politiche di sviluppo decise da Pechino. Ciò è legato alle fasi messe in atto dal governo centrale al momento delle riforme economiche di Deng Xiaoping. Furono, infatti, le regioni costiere a beneficiare per prime dei finanziamenti necessari allo sviluppo poiché aree strategicamente più vicine ai mercati esteri verso i quali la Cina si aprì alla fine degli anni settanta. Ciò permise sicuramente a Pechino di intraprendere quell’indiscussa ascesa economica che la porterà presto a divenire la prima potenza economica mondiale. Le fasi di sviluppo quindi toccarono per ultime le regioni interne relegandole in una condizione di marginalità, legata anche a fattori quali la prevalenza di una realtà prettamente agricola. Attualmente la fase di sviluppo regionale intrapresa da Pechino ha portato lo Xinjiang al centro di numerosi progetti sia infrastrutturali sia industriali8. Dalle autostrade ai treni veloci, per questa regione passa anche il corridoio ferroviario che collega la Cina con l’Europa. Linea ferroviaria che s’intende sviluppare nel contesto dei corridoi euroasiatici. La stessa capitale Urumqi vive uno sviluppo economico e commerciale che non può essere considerato fugace. La regione come già sottolineato sta diventando snodo logistico non solo per l’Europa, ma per tutta l’Asia centrale. Lo Xinjiang paradossalmente, pur avendo vissuto per ultima le politiche di sviluppo ha acquisito nel tempo un ruolo strategico. Questa regione si trova, infatti, a essere la cintura che unisce i Paesi dell’Asia centrale con la Cina nell’ambito di una nuova area geoeconomica, quella eurasiatica, dal potenziale sconfinato. Basti pensare che lungo il confine sino-kazako, oggi anche tra Cina e Unione Eurasiatica, la ZES di Korgas dovrebbe generare sviluppi commerciali di lungo termine9.

Il lavoro di riforma delle dogane intrapreso dalla Cina per armonizzare e velocizzare le procedure con i Paesi della regione è un segnale della tendenza in atto. L’obiettivo è quello di dinamizzare i flussi commerciali, estendendo lo sviluppo e distribuendo la ricchezza su tutta la regione. A tal fine altri Paesi della regione hanno intrapreso la creazione delle ZES per l’attrazione d’investimenti esteri10. Questo è uno degli obiettivi che Pechino intende raggiungere e che considera una condizione essenziale per la stabilità della regione. Lo Xinjiang è dunque strategico, non solo per la Cina, ma anche per la realizzazione di una realtà geoeconomica in Asia centrale che possa generare una condizione di sicurezza per la regione, influenzando la stessa stabilità di Paesi quali l’Afghanistan.

L’uso della leva economica è un fattore di stabilità nel quale Pechino può quasi permettersi di giocare in solitaria. Nel contesto della sicurezza, vi è invece la consapevolezza che solo la sinergia con gli altri Paesi membri dell’OCS possa portare risultati decisivi. Nell’ambito di tale organizzazione si è intrapresa la coordinazione delle diverse forze di polizia e un piano di riforma giuridica che accomuni le leggi dei Paesi membri in materia di terrorismo e sicurezza. Pechino ha poi ribadito il mutuo riconoscimento dei confini con i Paesi della regione, sottolineando ulteriormente la lotta a quelli che sono considerati i tre mali: fondamentalismo, separatismo e terrorismo. Una partita quella in Asia centrale, densa e piena di risvolti che influenzeranno il consolidamento del baricentro economico mondiale di questo secolo. Più che lo stretto di Malacca, per Pechino il vero punto debole sembrerebbe essere la sua regione autonoma occidentale. Tesi ancor più valida se si considera lo Xinjiang nel contesto dell’Asia meridionale, con il porto di Gwadar progettato proprio con la finalità di aggirare Malacca attraverso la via terrestre. In questo modo si capisce come lo Xinjiang sia per la Cina una cintura verso i Paesi dell’Asia centrale e meridionale. La perdita di questa regione da parte di Pechino mutilerebbe l’intero processo che attualmente è in fase di realizzazione. Processo in cui la Cina svolge il ruolo di traino e di catalizzatore geoeconomico.


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