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Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti

Da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Lo zio Boonmee è esistito per davvero. Era un uomo che si è recato in un monastero per aiutare i monaci nelle attività rituali. Quell’uomo, un giorno, ha raccontato che nel corso della meditazione ha visto alcune immagini delle sue vite precedenti, come in un film. Alla fine ha pubblicato un libretto: Un uomo che ricorda le sue vite passate.

Apichatpong Weerasethakul, proprio grazie a questo film, è riuscito a mettere d’accordo l’intera giuria dell’ultimo Festival di Cannes e si è aggiudicato la Palma D’oro. Zio Boonmee è un uomo malato di insufficienza renale che ha deciso di trascorrere gli ultimi giorni della sua vita in campagna, assieme ai suoi cari. Una sera, dopo cena, gli compare il fantasma della moglie e il figlio, in forma non-umana, scomparso anni addietro.

Tentare di concentrarsi sulla storia è del tutto irrilevante, visto che il film e il regista puntano a coinvolgere lo spettatore all’interno delle immagini che si susseguono a guisa di flusso di coscienza; a volte ironiche, a volte drammatiche. Il tema della reincarnazione e della fede sono, indubbiamente, essenziali, e il misticismo che ne deriva si mischia alla fantasia e alle tradizioni locali.

Realtà e favola s’intrecciano e allo spettatore è richiesta la massima attenzione per tentare di capire e decifrare le immagini che scorrono quasi senza un senso. Quello al quale ci ritroviamo di fronte, alla fine, è un lavoro essenziale, privato del montaggio, che richiama fortemente le tecniche del cinema muto, quando per girare un film bastava una cinepresa fissa ed un’unica inquadratura.

Weerasethakul, nell’era di Avatar  e del 3D imperante, sfida lo spettatore con un prodotto molto semplice, molto povero, quasi arido. L’essenziale non sono i dettagli, ma la quotidianità che però è descritta superficialmente, nonostante tutto. I gesti assumono tratti quasi inconsistenti che alla storia non danno né aggiungono nulla. La colonna sonora è costituita unicamente dai suoni della natura e degli animali, quasi a voler accentuare e sottolineare il viaggio e la ricerca di quest’uomo all’interno di se stesso e della natura.

Boonmee non solo diventa il simbolo della reincarnazione, bensì omaggio nei confronti di quel cinema primitivo che, ormai, sta per sparire o, il più delle volte, passa inosservato.

Francesca Casella


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