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Lo zio Toni

Creato il 02 giugno 2013 da Giulianoguzzo @GiulianoGuzzo

LozioToni

Non ha avuto un funerale sereno per caso: ha espressamente chiesto che fosse tale. Al punto che, per sua volontà, tutti i partecipanti alle esequie, finita la Santa Messa, sono stati invitati all’osteria adiacente alla chiesa dove li attendeva una damigiana, con tanto di cartello: ciascuno si accomodi e beva pure «un’ombra», un bicchiere di rosso, tutto pagato. Basterebbe già questo aneddoto per far capire che tipo originale fosse mio zio Toni – prozio per la precisione: sposo della sorella di mia nonna – scomparso una decina di giorni fa.

Aveva 98 anni ed era il più anziano del paese dov’era sempre vissuto, Bessica di Loria, una frazione di duemilacinquecento anime al confine fra la provincia di Treviso e quella di Vicenza. Contadino per una vita, era rimasto vedovo da poco più di un anno dopo che la moglie Rita, con cui aveva avuto cinque figli, se n’era andata lasciandogli un vuoto che però non gli tolse l’ironia che, come dimostra il brindisi post mortem, conservava intatta, lui che aveva sempre avuto un temperamento istrionico.

Apparteneva ad una famiglia assai considerata, da quelle parti. Eppure non solo non si dava arie, ma rimase sempre umile e non fu mai tentato dallo sfarzo: oltre all’immancabile trattore, il suo unico mezzo motorizzato è stata infatti una Vespa 50 celeste: mai posseduta un’automobile, mai tentato di conseguire la patente di guida. Non ne sentiva il bisogno: a lui bastava e avanzava quel che aveva. Con questo non si pensi che l’uomo fosse tirchio o poco incline alla generosità. Toni Bordon, com’era soprannominato in paese Antonio Lanzarini, era l’esatto opposto.

Al punto che – come ricordava nell’omelia uno dei quattro sacerdoti presenti ai suoi funerali – quando, molti anni prima, un amico gli confidò in lacrime il dolore di dover partire per la guerra con la moglie incinta e la paura non conoscere mai il figlio, zio Toni non ci pensò due volte e, con spontaneo eroismo, disse: «E qual è il problema, scusa? Vado io al tuo posto». E così fece, salutando i familiari e presentandosi all’indomani alla partenza. Fu spedito in Albania, da dove rientrò anni dopo e in seguito a migliaia di chilometri percorsi interamente a piedi.

Era matto, direte voi. Può anche essere. Sta di fatto che, in quell’esistenza al contempo serena e spericolata, la fede lo ha sostenuto molto. Mio padre, che da ragazzino fu suo ospite, ricorda bene come in casa sua – al termine della cena e prima di qualsivoglia svago serale – la recita del Santo Rosario fosse pratica quotidiana. Come omaggio, come segno di gratitudine per l’ennesima giornata mandata in Terra. E adesso che Toni staziona in un posto migliore, mi sembrava giusto ricordare – a voi a e a me stesso – quanto normali e straordinari fossero gli uomini di una volta.



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