In Cineasti del Presente ci sono stati diversi film degni di nota. Quest’anno era una vera finestra sul nuovo cinema, da cui è emerso che in molti potrebbero distinguersi. Gente che, in barba ai disfattisti, riesce a trovare un suo stile e a comunicare stati d’animo, disagi del nuovo millennio, e fa ciò con intraprendenza e fantasia, di sicuro con pochi mezzi. Insomma, il cinema realmente indipendente, soprattutto agli esordi, esiste ed è un ottimo filtro tra chi ce la potrebbe fare e chi è meglio cambi strada al più presto.
© Festival del film Locarno
In questo mare magnum abbiamo scelto alcune pellicole in base a sinossi, trailer e informazioni trovate, udite, scambiate nei corridoi. Alcune volte ci è andata bene (il sorprendete “Men who save the world” ne è un palese esempio), altre volte ci siamo arrabbiati. Il certi casi, invece, siamo rimasti perplessi. E’ quanto capitato con la co-produzione polacca e svizzera “They chased me through Arizona” che si presentava come on the road post industriale alla volta dello smantellamento delle ultime cabine telefoniche. Occasione per una coppia di stare insieme, di fatto il modo migliore per far emergere i punti di rottura. Il mondo cambia, la coppia svanisce.
A dispetto dell’accurata fotografia, del paesaggio tanto bello quanto incontaminato e di una trama intrigante, la silente opera è riuscita ad annoiarci. 86 minuti che potremmo definire molto, troppo (!), meditativi. La storia di un uomo che subisce la crisi in tutte le sue forme (lavorativa, di mezza età e di coppia), in un paese che non sembra offrire grandi prospettive, non si sviluppa, non ci avvince, non ci convince.
Il film di Matthias Hauser è un esordio, quindi dobbiamo focalizzare sul potenziale, ma è cupo e l’assenza di comunicazione, messa in risalto dai rari scambi tra marito e moglie, attenta alla nostra pazienza, soprattutto perché arriva al calar del sole. La situazione è surreale, a tratti grottesca e difficoltosa, il moderno far west è solo sullo sfondo, la trama non rispecchia le immagini, e la drammaticità risiede altrove.
© Festival del film Locarno
Intuiamo che l’autore volesse comunicare la fine di un’epoca, di un capitolo nella vita dei protagonisti, e narrare una storia sospesa in cui tutto fosse desolato e desolante con un’aura poetica in cui le immagini supportassero la narrazione. Una situazione dove ogni elemento fosse la tessera di un mosaico senza tempo. Forse, invece, i tempi non sono ancora maturi, al momento la meta è lontana, il talento è embrionale e in sala rimaniamo in attesa di ciò che non accadrà. Sospiriamo e speriamo nella prossima volta.
Vissia Menza