‘Perfidia’ di Bonifacio Angius
Comme d’habitude, mi riferisco alle proiezioni stampa che precedono di un giorno buono quelle del programma ufficiale per il pubblico.
ore 9,00: Fidelio, l’Odyssée d’Alice, di Lucie Borleteau. Francia, 95 minuti. Concorso internazionale.
Ma come son bravi i francesi, che ti san confezionare anche le più trite e fruste storie con quell’aura nouvellevaguistica così fine. Qui sembra Rohmer, e invece siamo pericolosamente vicini a Love Boat. Una bella ragazza di nome Alice si imbarca come secondo meccanico su un cargo scalcinato con varia ciurma di nome Fidelio. Tra porti africani, mediterranei e baltici la vita sentimentale di Alice si complica. A terra ha lasciato un tenero ragazzo norvegese pazzo di lei, ma a bordo ritrova il suo ex, ora capitano della nave, e son torride sedute. Ma gli amori non finiranno mica qui. Ancora non ho deciso se questo film è un incanto o una sòla (tanto non posso scrivere la recensione fino a domani per via dell’embargo, e così ci penso su).
ore 14,00: Perfidia, di Bonifacio Angius, Italia, 103 minuti. Concorso internazionale.
L’unico film italiano in corsa per il Pardo d’oro è stato, almeno per me, una sorpresa. Una tosta, claustrofobica storia padre-figlio in una Sassari livida da stringere il cuore. Spacciato finora come un film sui ragazzi che non vogliono e non se ne possono andare di casa per via del lavoro che non c’è, insomma come un film sulla ‘generazione perduta’, è invece la radiografia di un caso clinico, quello di un giovane uomo catatonico e forse autistico incapace di avere una benché minima relazione con il reale. Parte come una commedia all’italiana, ma il rigore della regia già ci avverte che non è e non sarà così. Disturbante come un Lanthimos, come se il nuovo cinema greco avesse aperto una succursale in Sardegna. Secondo lungo del praticamente sconosciuto Bonifacio Angius.
ore 16,00: Un jeuen poète di Damien Manivel. Francia, 71 minuti. Cineasti del Presente.
Ah, i francesi (vedi sopra). Una giornata nella vita di un ragazzo che vuol fare il poeta. Il che, in tempi in cui i gggiovvani si danno tutt’al più al rap, mi sembra cosa perfino commovente. A chi gli chiede, vedendolo in giro per Sète, cosa stia facendo, lui risponde: “Mi ispiro”. Anche qui impossibile non pensare alla leggerezza e a certe svagatezze alla Rohmer. Diviso in capitoli. La location è una meraviglia, l’idea ottima, il protagonista (l’ho appena visto in giro qui a Locarno) c’ha una faccia genere Garrel, dunque giusta per la parte. Il problema sono le parole, spesso pessime e davvero cattiva poesia.
ore 21,00: Marie Heurtin di Jean-Pierre Améris. Francia, 95 minuti. Sezione Piaza Grande.
Da un caso famoso della Francia di fine Ottocento. Marie Heurtin è cieca e sorda dalla nascita, cresce com una selvaggia, finché un suorina avverte in lei la scintilla dell’umano e si mette in testa di ‘civilizzarla’. Ce la farà, riuscendo dopo fatiche inenarrabili a comunicare con lei e a insegnarle un linguaggio gestuale. Il resto è puro mélo. Cronaca di una terapia corporale e di una guarigione simile a quell’Anna dei miracoli di Arthur Penn che procurò in anni lontani un Oscar a Anne Bancroft. E simile alle storie di enfant sauvages di altri film (Truffaut, Herzog, ecc.), anche se qui siamo nel cinema più mainstream. Film medio che non risparmia nulla per coinvolgere e commuovere. Sarà un successo. Kleenex obbligatori.