‘Geronimo’ di Tony Gatlif
‘Il demonio’ di Brunello Rondi – Retrospettiva Titanus
ore 10,00: À propos de Venise di Jean-Mare Straub (2013) e Dialogue d’ombres di Jean-Marie Straun-Danielle Huillet (1954/2013). Fuori concorso: shorts.
Due corti di Straub, di 24 minuti il primo, di 29 il secondo, nel conteggio di questa mia giornata li faccio valere come un film. Il venerato signore del cinema più austero e punitivo, il più ascetico e aristocraticamente appartato degli ultimi cinquant’anni, non si è palesato a Locarno nonostante i molti omaggi tributatigli oggi (ormai ha un’età pure lui: 81 anni). Che dire? Il primo ci mostra per quasi tutta la sua durata un pezzo minuscolo di riva marina con sciacquio d’acqua intorno a un tronco mentre una voce – è quella di Barbara Ulrich – declama fuori campo un testo bello assai, e assai penetrante, su Venezia e la sua decadenza (naturalmente Straub si guarda bene dal dirci di chi sia. Facendo ricerche ho scoperto che trattasi di La mort de Venise di Maurice Barrès). Naturalmente il punitivo Autore Maximo non ci fa vedere niente di Venezia, né un oggetto-simulacro che ce la rievochi, solo quella riva battuta dall’acqua che potrebbe essere ovunque, nello Sri Lanka come in Normandia, o magari è il lago di Ginevra o lo stagno del proprio giardino. Segue un complesso musicale che suona Bach in costumi d’epoca – un filmato in bianco e nero in tutta evidenza girato decenni fa – e non ho capito se sia ancora À propos de Venise o un altro corto. Credo la seconda, ma se è così perché il programma non ne fa cenno? (e se fosse un estratto da Cronaca di Anna Magdalena Bach, mitico film straubiano? Mah). Arriva poi Dialogue d’ombres è invece un progetto risalente agli anni Cinquanta ma realizzato con Danielle Huillet solo di recente, d ecco che in uno scenario di campagna, tra alberi frondosi e canti d’uccelli come spesso in Straub, un attore e un’attrice leggono le lettere di due innamorati assai complicati (soprattutto lei che scrive: voglio essere la tua amante, ma non tua moglie) tratto da Georges Bernanos.
ore 11,30: Kommunisten di Jean-Marie Straub. Fuori concorso, 70 minuti.
A introdurlo al Kursaal c’era il direttore artistico del Festival Carlo Chatrian. Questo film di Straub è stato presentato come un vero e proprio evento, e come il suo nuovo. Lo è? Mah. Si compone di sei parti di cui solo la prima – l’interrogatorio di due militanti comunisti arresati dopo l’incendio del Reichstag tratto da André Malraux – è davvero nuova. Le altre sono tutte estratte da precedenti film di Straub. Un auto-riuso, un’auto-antologia, un the best of. Con l’aggiunta del pezzo inedito come si fa nelle compilation musicali. Utile come ripasso dell’estetica e della visione straubiana del cinema. Il meglio è Franco Fortini (da Fortini/Cani, anno 1976) che sul nazismo e l’Olocausto riesce a turbarci con un pensiero per niente omologato, parente di quello della Arendt di La banalità del male (peccato che subito dopo dica sul Vietnam e sull’America delle enormità che oggi non le si regge proprio). Non è ben chiaro perché questo film si chiami Kommunisten. I comunisti son solo nel primo episodio, negli altri si parla di operai, resistenza, antifascismo, che non son mica la stessa cosa, giusto? Dimenticavo: come passima penitenza per lo spettatore, sennò che Straub sarebbe?, il film – in francese, italiano e tedesco – non possedeva nessun sottotitolo.
ore 14: La frusta e il corpo di Mario Bava. Retrospettiva Titanus.
Finalmente visti tutti i film del concorso, che son sempre la mia priorità ai festival, mi son potuto dare alla restrospettiva Titanus, il gran successo di questo Locarno, stranieri in coda e in delirio per Zurlini, Argento, Freda, Genina, Visconti. E per Mario Bava, che qui, in un film considerato tra i suoi minori (also sprach Sergio M. Germani, curatore della retrospettiva insieme a Roberto Turigliatto: châpeau a entrambi), si firma John B. Old. Un gotico magnificamente girato e che eleganza nella messinscena signori, che gusto squisito. Con quella cult-actress che è l’israeliana Daliah Lavi, bellezza mora mediterranea di una carnalità che incendia lo schermo. E che qui gode nel farsi frustare da Christopher Lee: “Ho sempre saputo che ti piace la violenza, e sempre ti piacerà, non potrai mai liberartene!” le fa lui, e giù scudisciate sulla schiena. Anticipando di oltre mezzo secolo il fetish e l’S/M e i giochetti tra master e allieva delle varie sfumature di grigio e i colpi sul culetto di Charlotte Gainsbourg di Nymphomaniac.
ore 16,15: Sae-Chul-Bal (A Fresh Start) di Jang Woo-jin. Sud Corea. Cineasti del presente.
Fan l’amore che neanche si conoscono quasi, e lei rimane incinta. Tutti e due studenti di una facoltà di letteratura fuori Seoul che sta per essere chiusa, tutti e due senza un ghello. Lui la porta in un postaccio ad abortire, ma siam già oltre i due mesi e ci vogliono troppi soldi, e i due non ne hanno abbastanza. Vagano, fanno cose, vanno in un posto di mare, mangiano sashimi, cominciano a conoscersi un po’. Un film indeciso a tutto, che non sa dove andare, come i suoi due sprovveduti protagonisti. Sembra a momenti un clone coreano del rumeno 4 mesi, tre settimane, due giorni di Mungiu, poi si trasforma in qualcos’altro, ma cosa? Però non è piacione e ha le palle di mostrarci senza un filo di sentimentalismo due ragazzi non innamorati e estranei uno all’altra, uniti solo dal problema della gravidanza da risolvere. Strapieno di difetti, lentissimo (girato con camera a mano con lunghe scene in tempo reale). Ma con un finale coraggioso.
ore 19,00: Il demonio di Brunello Rondi. Retrospettiva Titanus.
Un mio personale culto.Visto una vita fa e da allora mai più ritrovato. Aspettavo con ansia, raro com’è, di rivederlo sul grande schermo in 35 mm qui a Locarno. Allora, nel 1964, fu massacrato dai critici italiani, oggi appare come un capolavoro, e un’opera seminale, da cui tutti i film successivi di possedute e di possessioni han preso qulcosa, sì, anche L’esorcista di William Friedkin. Ispirato alle ricerche etnografiche di De Martino sulla persistenza del pensiero magico, sul malocchio, sulle ‘tarantate’ nel nostro Sud, soprattutto in Lucania. Strano ibrido, Il demonio, che nella struttura del melodramma rusticano immette la descrizione del mondo arcaico-contadino con le sue ossessioni della fattura e del diavolo. Bianco e nero meraviglioso, scenari inquietanti di selvaggia bellezza, simili a quelli del Vangelo di Pasolini, ma più brutalizzati, più estremizzati, più fantasmatizzati. Purificata non vuole perdere l’uomo che ama, ormai prossimo a sposare un’altra, e gli farà la fattura. Diventerà agli occhi della comunità una strega. Oggi inimmaginabile. Con protagonista, come in La frusta e il corpo, una Daliah Lavi scarmigliata e sensuale oltre ogni immaginazione. Scene memorabili: la processione dei flagellanti, la confessione collettiva, la caccia alle streghe con il fuoco, l’esorcismo di Purificata con tanto di camminata all’indietro ‘a ragno’ (molto prima di Linda Blair!). La proiezione è stata preceduta dalle scene allora tagliate dalla censura. Spero che sia linizio di una nuova vita per questo capolavoro a lungo rimosso e dimenticato. In my opinion, l’evento vero di questa giornata locarnese. Sì, più di Jean-Marie Straub.
ore 21,00: Geronimo di Tony Gatlif. Sezione Piazza Grande.
Il film che chiuderà domani sera il festival dopo la cerimonia di consegna dei premi. Lo davano a Cannes fuori concorso, ma l’avevo snobbato. Errore. Geronimo è un Gatlif all’ennesima potenza, scatenato, survoltato. Senza freni e fuori controllo. Grandiosamente kitsch. Con sacche di mediocre cinema, ma anche con sequenze che sono puro orgasmo. Ancora una volta siamo nel mondo gitano, il mondo di Gatlif e il suo feticcio. Estetica del coltello e del sangue, machismo ornato di armi, orecchini, catene d’oro, barbe e baffi-scultura. Una ragazza turca scappa in abito da sposa da un matrimonio imposto e corre dal ragazzo che desidera e ama. Solo che lui è un gitano. Sarà guerra tra i due clan. West side story, o se volete Romeo e Giulietta, in versione muscolare-flamenca. Quando bisogna spiegare la storia e si va sul sentimentale il film batte la fiacca, si accende invece quando c’è la battaglia, e sembra allora di rivedere un Guerrieri della notte mediterraneo-gipsy. Fantastica l’apertura delle ostilità tra i due clan rivali, con tanto di bara incendiata, e coltelli danzanti, e sfide a colpi di breakdance-capoeira. Geronimo è il nome di una signora coraggiosa che si occupa di ragazzi diciamo così disagiati e marginali e che, avendo conosciuto tutti quelli adesso implicati nella guerra, cerca di fermarli e impedire il massacro. Non per tipini fini usi ad arricciare il naso e aggrottare il sopracciglio. Ma se amate il cinema anche cafone, anche pacchiano e sgargiante e però pulsante, vitalistico, dionisiaco, questo è il vostro film.