Dopo essersi concentrati su Kafka e Melville (preso come ispirazione per il recente split con gli Amber), i Locktender da Cleveland prendono in esame le sculture di Auguste Rodin, a ribadire un evidente interesse per il mondo dell’arte come fonte d’ispirazione per il proprio mix di hardcore e post-rock. Detta così, non sembrerebbe una cosa da perderci il sonno, soprattutto perché ormai di formazioni che utilizzano come coordinate questi due linguaggi si è verificata una vera e propria esplosione. Quello che contraddistingue e rende quanto mai interessante la scrittura dei Locktender è però una personale e – in parte – originale rilettura della formula, che prevede un utilizzo ricco di sfumature e di influenze differenti degli elementi esterni alla matrice hardcore, dagli archi, ai cori, alle linee melodiche cariche di malinconia e di pathos. Il che, in realtà, continua a non distaccarsi da quanto fatto da moltissimi altri, almeno raccontato a parole, perché con l’ascolto (e qui lo streaming è quanto mai opportuno) le cose cambiano e si comprende come gli stessi termini possano indicare realtà distanti e risultati quasi antitetici, lungo le spirali di un album che non resta mai immobile o ancorato ad un’unica soluzione, né si sofferma mai troppo a lungo nell’agio di una scrittura rodata e consolidata. “Eternal Springtime” e “Thinker” rappresentano le due estremità dell’universo Locktender, con le opposte pulsioni a condividersi la scena e a disegnare traiettorie difficili da ricondurre a un’unica penna, eppure altrettanto connesse e necessarie alla riuscita del tutto. Magari non da perderci il sonno, però da ascoltare con curiosità.
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