Le tastiere rubate ai Cure (altezza Disintegration) e la chitarra un po’ shoegaze che aprono “Eternal Return” non lascerebbero mai immaginare che quelli siano i Locrian. Eppure questo è proprio il duo (poi trio) che pochi anni fa aveva esordito col buon Drenched Lands per farsi reclutare infine da Relapse, secondo una modalità non dissimile da quella l’etichetta ha adottato con Horseback (o coi Genghis Tron), segno che da quelle parti sanno ancora muoversi sottoterra. La copertina, a differenza dell’incipit, è indiscutibilmente 100% Locrian, dato che rappresenta alla perfezione il tema ricorrente della civiltà consumistica in rovina: il gruppo nasce e continua a essere la colonna sonora (ballardiana?) di centri commerciali abbandonati e delle periferie. Quando - sempre in “Eternal Return” - la voce squarciata di Hannum esplode inaspettatamente come una mina in un campo di calcio, abbiamo già la sintesi del disco senza saperlo. “A Visitation From The Wrath Of Heaven” va avanti per sette minuti nei quali pare contro ogni pronostico “Silver Screen” di Felix da Housecat (in realtà è la consueta metafora del computer che va avanti senza bisogno che ci sia l’umanità intorno), ma anche qui c’è una sorpresa, un mezzo “twist ending” (questa volta chitarristico). “Two Moons” sembra guardare ai Popol Vuh (dei quali i ragazzi hanno già realizzato una cover), ma si conclude con quelle macchine morenti marchio di fabbrica della band, come s’accennava. Il brano che dà il titolo all’album comincia col ritmo di “Hide U” dei Kosheen, ma è diviso in almeno tre parti diverse: tanto inafferrabile da apparire quasi sbagliato. “Exiting The Hall Of Vapor And Light” è il primo episodio che suona come i Locrian delle origini (cronache del dopo-bomba non dissimili da quelle di MGR di Mike Gallagher o Thisquietarmy), imitato dalla successiva “Panorama Of Mirrors”, che è la faccia più noise della band. Anche la chitarra acustica della lunga traccia finale, unita al cigolare rugginoso di sottofondo, si riallaccia a dei Locrian più familiari, quelli di The Crystal World: qui, comunque, in ossequio pare al prog, i pezzi sono sempre divisi in più “stanze”, quindi ecco che ce n’è una seconda quasi floydiana (alla maniera del trio di Chicago, però), una terza drone con sparse note di piano, una quarta metal (quasi black metal) e commovente.
Foisy, Hannum ed Hess ormai rischiavano di ripetersi. Dopo tante uscite, nonostante i continui progressi, pensavamo di sapere le carte che avevano in mano. Ripetersi una volta agguantata la Relapse, però, sarebbe loro convenuto da morire: hai una formula vincente, la riproponi a un pubblico molto più vasto grazie alla miglior promozione (e distribuzione) che hai ora e porti a casa un risultato grosso, ad esempio vieni dagli Stati Uniti in Europa, cosa che non sei mai riuscito a fare. Invece per mezzo disco (la prima metà, poi) ti rinnovi facendo letteralmente il matto. Ecco: se non del tutto riuscito/comprensibile, Return To Annihilation è almeno intrigante e ci fa rispettare ancora di più questo gruppo.
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