Lode a Roberta Vinci, fantastico tennis d’altri tempi.

Creato il 17 giugno 2011 da Andreakur
Buone indicazioni provengono dall’erbetta olandese di Rosmalen (uno dei tornei che precedono Wimbledon) dove due azzurre, forse le meno attese, sono in semifinale. Una è Romina Oprandi, di cui abbiamo già disquisito con la dovuta enfasi, l’altra è la tarantino Roberta Vinci. In un contesto generale in cui la stragrande maggioranza di tenniste (e anche tennisti, ovviamente) del circuito professionistico si ammazza di sudore per essere costruita come vere sparapalle senza anima, sguainando un rovescio bimane che sa tanto di mazza da baseball (si potrebbe anche malignare che oggi l’uso della racchetta è paragonabile alla clava degli uomini primitivi) e un diritto sempre più arrotato grazie ad una impugnatura inguardabile che non può non inorridire i buongustai, lei, la Vinci, piccola graziosa donna dalla grande superba fantasia, è sempre più in voga, col suo tennis straordinariamente classico, più lento rispetto alle altre, assai meno muscoloso, però fatto di rovesci slice e di diritti piatti, fatto di volèe altrettanto piatte ma assai efficaci (copre bene la rete, Roberta), fatto di palle corte imprevedibili che una volta toccata terra (o erba, in questo caso) si sgonfiano come se la pallina fosse bucata, fatto di meravigliosi attacchi in chop che non si trovano neanche più al museo di Wimbledon, dove di mummie (tennistiche e non) ce ne sono a iosa. La Vinci, insomma, col suo tennis in controtendenza, con la sua intelligenza e lucidità tattica, col suo campionario da esporre qualunque sia la superficie (non dimentichiamo che non ha vinto solo sul veloce ma anche sulla terra), è senz’altro un esempio da seguire per molte altre nostre giocatrici, giovani e meno giovani, che credono (perché inculcato loro da maestri e coach) sia fondamentale solo tirare più forte dell’avversaria per arrivare alla vittoria. E’ quello che succede, ad esempio, a Flavia Pennetta e Sara Errani, emigrate altrove alla ricerca di chissà che cosa (di diverso). La Pennetta singolarista è in una imbarazzante fase di stallo, e non perché non sia brava ma semplicemente perché gioca sempre alla stessa maniera e se il suo entourage non capisce che la brindisina deve evolversi nei colpi (cosa che è accaduto alla Schiavone, entrata stabilmente nella top-ten per la varietà di schemi), la troveremo sempre lì, nel limbo, tra coloro che son sospesi, senza mai fare il salto di qualità. Cosa che le è riuscita in doppio ma non perché sa volleare bensì perché risponde bene. La Errani, invece, è più dietro in classifica, tira più piano della Pennetta ma se il suo coach le avesse insegnato qualche schema d’attacco, probabilmente con la Kuznetsova non avrebbe mai perso sul 6-3 4-1 e sul 6-3 5-3 in suo favore, restando sempre dietro, al contrario della russa, più coraggiosa, che spesso si è lanciata sotto rete dando alla ragazza italiana una lezione non di tennis ma di coraggio sportivo. La verità è che bisogna fare di più. Si deve fare di più. Si deve salvare il tennis dalla noia di match tutti uguali, di un tennis tutto uguale dove i giocatori e le giocatrici che fanno veramente divertire si contano sulle dita. La Vinci (così come la Oprandi) è una di queste. Dunque, lode a Roberta, gioia del tennis nostrano. Ma che bello sarebbe una finale Vinci-Oprandi!

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