Se qualcuno ha creduto che la reale mascherata governativa fosse quella di Berlusconi e della sua corte si è sbagliato di grosso. Il Cavaliere copriva con la goliardia e la bassa boutade il disorientamento nel ruolo ma, soprattutto, la sua profonda debolezza politica e l’incapacità di prendere decisioni. Eppure c’era nei suoi tentativi maldestri, almeno inizialmente, la volontà di uscire dagli ingessamenti e dai rituali istituzionali, tanto nazionali che internazionali, che costringevano la nostra nazione a fare solo da comparsa sul teatro mondiale. Con pacche e corna il Cavaliere sovvertiva la seriosità dei pagliacci che si credono migliori e più autorevoli perché vestono e si accordano alle nostre spalle pro forma. Quelli che lo hanno sostituito deridendolo sono, invece, bautte professionali che utilizzano meglio di lui trucco e travestimento, al fine di nascondere una inettitudine di fatto che viene surrogata dalla sobrietà ostentata e dai costumi tecnici esclusivi. L’aristocrazia minore, appena insediatasi, non a caso, è stata immediatamente riconosciuta, cerone e parrucche comprese, dalle altre e alte nobiltà europee e mondiali. Stessi codici caratteriali e medesime etichette comportamentali hanno dato ad essa, istantaneamente, quella credibilità da sempre negata al giullare presidenziale dell’antinoblesse e del mega party fuori dai salotti. Tuttavia, questo bouleversement non cambia la sostanza della situazione che resta pessima ed anzi si aggrava. Monti, più di Berlusconi, ha diritto di parola tra i dominanti di sangue blu ma questa stessa parola continua ugualmente a non valere nulla. Pensateci bene, queste cose le illustrava già Blaise Pascal. La guerra tra la ragione e l’immaginazione pende a favore di quest’ultima non quando i folli si fanno avanti coi loro squilibri mentali ma quando a marciare impettiti e convinti sono i cosiddetti saggi che hanno gli strumenti per convincere gli altri uomini degli effetti positivi, seppur inesistenti, delle proprie rappresentazioni. La sobrietà, l’aggrottamento dei sopraccigli, la voce misurata, i gesti controllati sono i riti di un ballo in maschera ben più pericoloso e mistificante di quello partito Arcore e giunto a Palazzo Chigi. Ora non sfilano più i carri allegorici seguiti da nani e ballerine ma i carrarmati della tecnica e della contabilità con a bordo uomini in loden, donne ben impellicciate o in tayeur (niente autoreggenti né minigonne) che devono attivare il cerimoniale della morigeratezza perché il mito abbia seguito e ci rassicuri delicatamente mentre il deserto avanza. Dice Pascal: ai magistrati toghe ed ermellini, ai medici sottane e piattelle e ai dottori berretti quadrati e vesti quattro volte troppo ampie… e ai tecnici, aggiungiamo noi, loden, cravatta e titoli professionali acquistati sul mercato degli utili idioti. Il tutto per abbindolare la gente che non può resistere a questa mostra così autentica. Ma se questi attori possedessero la giustizia vera e la vera arte di fare e di risolvere “la maestà delle loro scienze sarebbe venerabile di per se stessa…ma possedendo soltanto scienze immaginarie, è d’uopo che mettano mano a questi vani apparati, che colpiscono l’immaginazione con la quale hanno a che fare; e con ciò in realtà si attirano il rispetto”. Ovvero, la deferenza del coglione che sta per essere bastonato e percosso dall’austerità del buffone senza chitarra e senza bandana, ma anche senza spina dorsale e autonomia decisionale. Il Carnevale è divenuto carnaio nella devozione generale.
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