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Il film di Tom Tykwer ha sempre goduto della prevedibile simpatia da parte di un pubblico riflessivo e, magari, più avvezzo ai versi o alla filosofia che allo spettacolo di consumo. In effetti, Lola corre presenta aspetti di sperimentazione davvero interessanti. Intanto, c'è il ricorso a tecniche tradizionali di ripresa miste all'animazione, in un mix che mi strega sempre e che qui è proprio esplosivo. Per essere più esatti, sono proprio le immagini a riconfigurarsi di volta in volta secondo le più diverse tecniche, come se un plot, piuttosto che seguire di volta in volta la sceneggiatura prevista, si materializzasse con strumenti e ottiche diverse. Così, film, cartone animato o murale o fumetto, quando non anche il videogioco, rapide sequenze fotografice e visioni oniriche si danno il cambio, ricomponendo la continuità del reale attraverso strategie che rendono giustizia alla sfera visiva, senza compromettere la dimensione narrativa pura. Lo spettatore ha, alla fine, un campionario di strumenti che gli concedono accessi multipli alla realtà.
Certo, padrona assoluta della storia è Lola, la protagonista. È lei, con la sua corsa attraverso una Berlino che è tutta un cantiere (e che, per questo solo aspetto, ricorda molto la città vista da lontano di Good Bye, Lenin!), che determina il ritmo e la struttura della vicenda; è lei che, con il suo urlo disperato, padroneggia il tempo, il tempo tiranno e mostruoso con cui ha inizio il film, e preme i tasti fast forward e rewind a suo genio. Nessuno spettatore crederà mai che ciò sia possibile, è chiaro: ciascuno di noi ha ben sperimentato anche troppe volte quel disarmante gioco del "se invece..." che si accompagna a rimorsi o a rimpianti (a seconda che si guardi a ciò che si è fatto o a ciò che si sarebbe potuto fare). Però un problema narratologico rimane: se la corsa contro il tempo è quella di Lola e se Lola nel suo percorso a ostacoli si prospetta come l'ago di una mano sapiente intenta a lavorare sul tessuto di questo film, sembra mancare un equilibrio tra gli elementi di stabilità del mondo attraversato - comparse, figuranti e personaggi secondari (ricordiamo qui almeno il padre di Lola di Herbert Knaup) - e le radicali differenze che accompagnano il vissuto di queste maschere.
Voglio dire: i tre episodi paralleli che strutturano il film a mo' di varianti sul tema divaricano in modo incomprensibile e inspiegabile le esistenze dei diversi avventori. Gli scatti fotografici in fulminea sequenza e le inquadrature fisse - che raccontano queste storie periferiche con dettagli lancinanti - sono un'invenzione magnifica, in ognuno dei tre episodi: è il confronto che rende disarmonici questi rush narrativi. Certo, attraverso un simile espediente si sottolinea l'inconciliabilità reciproca delle tre corse di Lola e dunque le si giustifica tutte e tre, quali doni fiabeschi di maghi per salvarsi dai pericoli. Tuttavia, mi sembra, abbiamo qui il deliberato silenzio su alcune questioni spinose che pure sono fatte oggetto specifico di interesse della sceneggiatura. In particolare, mi risulta poco chiaro quale sia il posto che nel film di Tykwer si dà al destino, e quale quello che si dà alle proprie azioni. Il concatenarsi degli eventi non basta a renderli necessari e, in fin dei conti, Lola corre non è altro che un superbo gioco combinatorio di sguardi e di piani romanzeschi.
O forse, a fallire è già il tentativo di trovare una chiave che decodifichi insieme azioni, fatti e conseguenze in unico, inesistente, sviluppo narrativo, come sembra suggerire il pragmatico (o almeno avvertito) prologo corale:
il pallone è tondo e il gioco dura 90 minuti. il resto è pura teoria.
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