Contrariamente a quanto fatto finora, scrivo un post su un
libro che sto ancora leggendo. Non riesco ad aspettare la fine, perché mi si
accavallano migliaia di impressioni e di reazioni, che devo metter su carta (o
meglio, bit), per poterle razionalizzare. Ho voluto iniziare Lolita di Nabokov sulla spinta di un altro libro che ho letto da poco, La verità sul caso Harry Quebert. Sapevo che Lolita non è un romanzetto
estivo, da ombrellone. Sapevo che il tema portante dello scritto pesca nella
zona torbida dell’animo umano. Non sapevo, però, che mi avrebbe provocato così
tanto. Le prime venti pagine del romanzo scorrono quasi in sogno: il
protagonista, il futuro annoiato professor Humbert, racconta della sua
adolescenza e del suo amore perduto. Da pag. 23, qualcosa cambia di colpo.
Humbert si rivela. “Di quando in quando
approfittavo delle conoscenze che avevo fatto tra i lavoratori sociali e gli
psicoanalisti e in compagnia di queste persone visitavo vari istituti, come
orfanotrofi e riformatori, dove mi era possibile guatare con cupidigia e con
una impunità assoluta, simile a quella dei sogni, fanciulle adolescenti dalle
ciglia appiccicate”. (Vladimir Nabokov, Lolita, pag. 23, Collana Medusa,
Arnoldo Mondadori Editore) Cupidigia e impunità assoluta: un’accoppiata di
parole che non ho gradito, ma che ho incassato senza troppi problemi. Le due
pagine seguenti, tuttavia, sono un’esposizione incendiaria di cosa si agita
davvero nell’animo di Humbert (lo stesso Nabokov?), raccontato sotto forma di “teoria”,
con un linguaggio elegante, rotondo, sensuale, da incantatore di serpenti.
“Vorrei, a questo punto, accennare a una mia
constatazione. Tra i limiti d’età di nove e quattordici anni non mancano le
vergini che a certi ammaliati viaggiatori, i quali hanno due volte o parecchie
volte il loro numero di anni, rivelano la propria reale natura; una natura non
già umana, ma di ninfa (vale a dire, demoniaca). Orbene, io mi propongo di
chiamare “ninfette” queste creature eccezionali. [...] Ma tutte le ninfette sono comprese entro questi limiti d’età? No,
certo. Se così fosse, noi che sappiamo, noi solitari vagabondi, noi
ninfolettici, saremmo impazziti già da un pezzo. La bellezza non è affatto un
valido criterio di scelta; e la volgarità, o almeno ciò che determinate persone
così definiscono, non compromette necessariamente certe caratteristiche
misteriose, la grazia torbida, il fascino elusivo, mutevole, struggitore e
insidioso che distingue le ninfette dalle loro coetanee, incomparabilmente più
legate al mondo spaziale dei fenomeni...[...] Nell’ambito degli stessi limiti d’età, il numero delle autentiche
ninfette è inferiore in misura impressionante a quello delle ragazzette
essenzialmente umane, siano esse momentaneamente bruttine, o soltanto graziose,
o “simpatiche”, o anche “care” e “attraenti”...[...] L’uomo normale al quale si mostri un gruppo fotografico di collegiali o
di giovani esploratrici e si chieda di
indicare la più avvenente, non sceglierà necessariamente la ninfetta. Bisogna
essere artisti e pazzi, creature colme di infinita malinconia, con una polla di
bruciante veleno nei lombi e una fiamma ipervoluttuosa accesa in permanenza nel
midollo spinale (oh, quanto ci si deve frenare e come si deve fingere!) per
distinguere subito, grazie a indizi ineffabili – il profilo lievemente felino
di uno zigomo, la linea affusolata delle gambe ed altri segni che la
disperazione, la vergogna, le lacrime di tenerezza mi impediscono di precisare –
il piccolo demone micidiale tra le bambine integre; la ninfetta, non
riconosciuta dalle altre, è ella stessa ignara del proprio fantastico potere.” (ibidem,
pagg. 24-25)
Ho dovuto rileggere il pezzo un paio di volte. E ho
affrontato Humbert. Tu, mostro. Tu, mostro ipocrita e con lingua di serpente.
Non starai dicendo che sono le ragazzine, che tu chiami vischiosamente “ninfette”,
le colpevoli evocatrici di TUOI sentimenti perversi, VERO? Sei TU che vedi
torbido e ambiguo con quei tuoi occhi da fraintenditore, sei tu che ti scarichi
di responsabilità affibbiando loro un termine così...strisciante, così apparentemente
innocuo, ma sottilmente insultante. A chi dici demone, perverso oscurato?!
Non si può dire che mi abbia lasciato indifferente. Per un
paio di minuti, ho alzato gli occhi dal libro e ho cercato di capire se dovevo
andare avanti o meno. Non è stata una lotta lunga; dovevo sapere, e l’irritazione
ringhiante verso Humbert poteva ancora essere domata, o quantomeno zittita. Non
mi piaceva affatto quello che stava dicendo, poiché grattava su una superficie
ruvida mai del tutto dimenticata. Va bene, Humbert. Se voglio essere affrettata
e rivestire il ruolo del giudice che sputa sentenze e trancia giudizi, ti
considero un dannatissimo pedofilo corruttore, degno solo del ceppo del boia.
Sì, ti ho già condannato, non- caro Humbert. Senza appello. Con la tua dolce
lingua melliflua di serpente codardo, mi spieghi che sei “malato”. La tua
fissazione per le ragazze giovani ha origini forse nella morte prematura del
tuo primo amore adolescenziale, quando anche tu eri lontano dalla maggiore età.
Ma chi non ha subito lutti, Humbert? E chi non ne è rimasto segnato, più o meno
a fuoco? Non è una scusante che regge a lungo, questa. Può andar bene per un po’,
ma poi...è necessario reagire. Finora, ti sei accontentato di “guardare”. Non hai
voluto spingerti oltre con le ragazzine incontrate per strada, e con la stessa
Dolly, che tu ti ostini a chiamare Lolita, la tua Lo (è la tua malattia che ti
dà il permesso di appropriarti così di lei?), hai voluto essere più che
corretto, anche quando il suo semplice contatto ti ha provocato un’esplosione
finale, che hai voluto tenere per te. Ti ho quasi ammirato, pur contro la mia
volontà, Humbert, in quell’occasione: ti sei esibito in una prodezza di
contorcimenti, di disinvoltura davvero demoniaca. Ho deciso, comunque, che ti
ascolterò fino alla fine. La tua lingua di serpente funziona, anche se a metà,
dopotutto. Non proverò simpatia per te. Andrò oltre la mia sentenza senza
appello su di te, ma non temere: è solo rinviata. Come il suddetto serpente
riesce a fare così bene con le sue vittime, mi affascina il modo elevato in cui
parli dei tuoi sentimenti e delle tue passioni irrefrenabili, ma non dimentico
quello che sei: un predatore.
Magazine Cultura
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