Magazine Cultura
Da liceale spendevo indimenticabili estati in Inghilterra, che segnarono la mia cultura per tutti gli anni a venire. Erano gli anni settanta e tutto girava attorno alla musica rock. E alle ragazze, naturalmente, ma le due cose erano legate a doppio filo: canzoni da ballare (non era ancora arrivata la disco music), i singoli del momento, album da scoprire. Spendevo la maggior parte dei miei soldi in dischi, che in certi negozi inglesi costavano molto meno che in Italia, e la difficoltà tutte le volte era portarli tutti a casa senza rovinarli. Anche se ero giovane ed entusiasta, a metà dei '70 fu già evidente che le cose cominciavano a farsi un po' loffie. Tutti i gruppi ereditati dagli anni '60 avevano oltrepassato da un pezzo lo zenit creativo. Era di moda la musica sperimentale, ma i gruppi progressive, che erano i più ascoltati in Italia, più uscivano dall'underground per entrare nelle classifiche e più sembravano produrre musica di plastica. C'era il jazz-rock, e se i dischi dei Weather Report erano ottimi, quelli del resto della scena, come Mahavisnu Orchestra o Return To Forever, erano quanto meno auto indulgenti. Poi c'era la musica cosmica tedesca ed i nuovi gruppi di Canterbury come gli Hatfield and the North. Persino una rivista buonista come Ciao 2001 arrivava ad intitolare: "il rock è morto?". Fino a che nell'inverno fra il 1976 e il 1977 successe qualche cosa. La stampa cominciò a scrivere di questo gruppo incontrollato, i Sex Pistols, che creava disordini ad ogni esibilizione, e del look dei loro fan, che si infilavano spilloni da balia come piercing. Dall'estero arrivavano 45 giri carichi di adrenalina che riesumavano il rock delle origini, come On The Flesh di Blondie. Dal nulla era spuntato un rocker americano amico di Bowie chiamato Iggy Pop e all'improvviso tutti sapevano che aveva avuto questo grande gruppo rock a Detroit. Si leggeva degli incandescenti show al Marquee di Londra degli Eddie & The Hot Rods come fossero redivivi Who, e degli happening al CBGBs di NYC del Patti Smith Group e dei Television di Tom Verlaine e di Richard Hell. Quando nell'estate del 1977 tornai a Londra trovai una città radicalmente mutata. Il singolo che mi accolse era Pretty Vacant, e resettò al primo ascolto tutte le mie certezze. Dimentico di essere stato fino ad un attimo prima un potenziale fan di Peter Baumann, acquistai una t-shirt con la stampa "a rovescia" God Save The Queen, e mi infilai nella scoperta di una serie di classici del rock & roll e delle garage band, che io sentivo per la prima volta suonati dai gruppi punk, nello stesso modo in cui la generazione che mi aveva preceduto aveva scoperto il blues afroamericano dai gruppi inglesi. Scoprii gli Who "mod" dagli Hot Rods, scoprii il gutturale R&B dai Dr.Feelgood, che esordivano in classifica al primo posto con il live Stupidity, scoprii Graham Parker, Nick Lowe ed Elvis Costello. Scoprii i gruppi punk newyorchesi, dai Mink DeVille di Spanish Stroll ai Talking Heads di Psycho Killer. La generazione dei teen-ager del 1977 si accorse di avere, oltre alla mente, un corpo - e ci piacque. Fu la seconda British Invasion, e questa volta c'eravamo: in qualche modo scoprimmo gli anni '60 a partire dal '77, ed i nostri eroi Bowie e Lou Reed sembravano approvarci, con dischi come Low e Street Hassle. Ci fu il ritorno delle mode anno per anno, e così come una volta i teen scoprivano la musica indiana ed il sitar, noi si scopriva il rockabilly con gli Stray Cats e lo ska con i Madness e gli Specials. Non furono molti i gruppi che continuarono ad avere combustibile dopo i primi magnifici singoli, ma chi lo fece ci donò dei capolavori, come Costello, Parker e, i più grandi di tutti, i Clash di London Calling. La nuova ondata proseguì la sua deflagrazione verso l'ovest, attraversando il west dei Long Ryders e di Jason & The Scorchers, il deserto dei Thin White Rope, Dream Syndicate e Green On Red per arrivare alla Los Angeles di X, Blasters e Los Lobos. Una grande fiammata che bruciò per pochi anni, ma con la luce più luminosa dai tempi di Beatles e Rolling Stones, prima che il business provvedesse a soffocare tutto di nuovo.
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