Imprenditore, laureato in Economia, con una grande passione per gli etruschi.
Il tipo tosto stavolta è Lorenzo Benini, nato a Firenze nel ’59, ex dirigente di una multinazionale fino a dicembre 2004, con il pallino dell’archeologia. Oggi Lorenzo con la Kostelia srl si occupa di logistica e servizi all’industria, ma lavora anche nel campo dell’abbigliamento e della moda. Capita spesso, però, che per amore della storia antica, si giochi le ferie.
Per questo suo interesse smisurato, che condivide con la compagna e le due figlie, è disposto anche ad investire parecchi soldi. Leggiamo insieme.
Come nasce la passione per l’archeologia?
I miei genitori hanno educato me ed i miei tre fratelli all’amore per il bello, l’arte e la cultura. Babbo e Mamma erano forse poco generosi nel concedere “svaghi convenzionali”, ma non hanno mai lesinato nell’investire sulla preparazione e l’educazione dei propri figli. La passione per l’archeologia è un qualcosa che è cresciuta in me in questo contesto.
E la curiosità per gli etruschi?
Avevo 8 o 9 anni quanto visitai con la famiglia le tombe etrusche di Chiusi, un’importante località toscana, in provincia di Siena, patria del famoso lucumone Porsenna, conquistatore di Roma. In me nacque una forte attrazione per questo popolo, gli Etruschi, non soltanto perché vissuto nella mia terra, ma anche perché, con il passare del tempo, ne ho potuto apprezzare tutti gli aspetti di civiltà, di finezza dei costumi e, sembra impossibile, la modernità del loro vivere.
Per esempio?
Nella società etrusca le donne avevano pari diritti e dignità rispetto all’uomo con grande scandalo degli storici greci e romani! Avevano il senso del bello ed un amore per la vita che dimostravano sostanzialmente con importantissimi monumenti e manufatti, raro nelle altre civiltà mediterranee, vissute nei mille anni prima di Gesù Cristo. Dopo la fase di “innamoramento” sono passato alla fase “operativa”. Il mio primo maestro di etruscologia è stato un pittore fiorentino, Franco Mosell, che aveva formato un piccolo gruppo archeologico a Firenze e con quello ho cominciato, a 14 anni, a fare le prime ricognizioni sul campo alla ricerca di reperti ed a lavorare per tracciare una mappa archeologica della zona sud di Firenze.
Poi?
Ho partecipato poi, durante gli anni di liceo, a due scavi organizzati dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, sotto la guida di Giuliano De Marinis e Francesco Nicosia.
Non le ha mai fatto paura scavare, ritrovarsi faccia a faccia con la storia e soprattutto, con i defunti?
Se intende con paura la naturale riserva che un essere umano prova nell’entrare in una tomba, luogo di riposo dei defunti, devo dirle di no, in assoluto. Il mio approccio con la civiltà etrusca è avvenuto con la visita della Tomba della Scimmia, a Chiusi appunto, un monumento databile al primo trentennio del V° secolo a.C. Questa tomba ha dipinte sulle pareti delle magnifiche scene di giochi ed esercizi atletici in onore di una defunta, una “signora” quindi, ma niente che potrebbe essere legato al concetto di “morte” come noi oggi lo intendiamo.La stessa cosa si può dire oggi: non mi sono mai posto il problema della paura e dell’eventuale pericolo, alle volte anche incoscientemente, tranne una volta.
Quando?
Un paio di anni fa mi trovavo a Vulci in visita, con un caro amico archeologo e mia figlia minore Aurelia, alla Necropoli del Mandrione di Cavalupo, purtroppo quasi abbandonata allo scempio degli scavi clandestini. Nell’entusiasmo del conoscere e del piacere della scoperta ci siamo calati in una tomba a camera semi crollata, tutti e tre insieme. Ecco, una volta all’interno della camera, aldilà dell’interesse del monumento funebre, sono stato assalito dal pensiero che ad un ulteriore crollo nessuno avrebbe potuto aiutarci, nessuno sapeva della nostra presenza nella zona.
Cosa è successo?
Mi sono reso conto di quanto avventato può essere un comportamento e da allora faccio sempre mente locale per rispettare quelle che sono le norme minime di sicurezza.
Cosa prova quando scende a tanti metri di profondità?
Non sempre si deve scendere a tanti metri di profondità. Anzi, molto spesso quel che si cerca è sotto poche decine di centimetri di terreno. Entrare in cunicoli sconosciuti e profondi non è raro, ma non è qualificante e spesso rappresenta il momento in cui l’amore per l’archeologia si scontra con l’ignoto. Ma chi ama davvero l’archeologia non ha bisogno soltanto delle ricerche sul campo per esprimere la propria passione: i musei, la visita ai monumenti, lo studio, sono momenti altrettanto importanti. Parlando degli Etruschi, popolo su cui c’è ancora tanto da scoprire, studiare ed interpretare, è bello cercare di immedesimarsi nella loro cultura e nel loro pensiero.
Sì, ma cosa prova?
Provo sempre delle sensazioni molto violente ed appaganti quando vado in ricognizione o in visita a qualche necropoli. Molto spesso, nella solitudine di certi luoghi, ho netta la sensazione che quel popolo meraviglioso mi parli e riviva intorno a me. Non ne ho paura, anzi. Quello che sento è una forte empatia e forse l’invidia per un tempo ed una civiltà definitivamente scomparsi. Sembrerà stupido, ma io mi sento Etrusco. Non per niente il simbolo che ho fatto stampare sulle magliette promozionali dello scavo a cui ho partecipato quest’anno è tratto da una famosa Tomba di Tarquinia, sovrastato dalla frase MI RASNA, io sono etrusco nella lingua di questo antico popolo.
Cosa porta sempre con sè nelle sue ricognizioni?
A parte un equipaggiamento adeguato, con me ci sono sempre i guanti, un coltello, un “malimpeggio” (che è una particolare piccozza), una carta geografica ed una bussola, taccuino e lapis oggi sono stati sostituiti dal BalckBerry che fornisce anche il servizio GPS per segnalare con coordinate precise i luoghi più importanti. La macchina fotografica non deve mai mancare! Poi ho sempre il mio cappello: un Panama bianco che ha una funzione di parasole, ma anche protettiva. Lo cambio ogni anno perché si rovina.
Come si prepara per le sue avventure e per quanto tempo?
Vede, il concetto di avventura è legato ad una visione dell’archeologia un po’ troppo da Indiana Jones. Chi ama questa disciplina, sa che il simpatico e spericolato Indiana non fa parte della realtà di uno studio che è tutt’altro che estemporaneo.
Perché?
Ad esempio, andare in ricognizione vuol dire prepararsi sui luoghi che si visitano, capire il contesto storico ed ambientale, cercare di farsi un quadro su quello che eventualmente si può scoprire e quelli che sono i monumenti che si vedranno. Non si va alla ventura: farlo significherebbe non capire quello che si fa e tutto sarebbe lasciato al caso.
Una cosa è andare in ricognizione, un’altra cosa è preparare un altro tipo di avventura, a cui forse lei si riferisce: lo scavo sistematico di una località archeologicamente rilevante. Forse dal mio punto di vista di dilettante questo tipo di evento può essere vissuto come un’avventura. Ma dietro uno scavo scientifico c’è tutt’altro che improvvisazione. Vede, da tre anni collaboro con il Professor Alessandro Mandolesi, professore di Etruscologia ed Antichità Italiche all’Università di Torino: è lui con il suo staff tecnico a preparare tecnicamente lo scavo ed a tracciarne il percorso scientifico. Io da appassionato, ma pur sempre un dilettante, posso solo aver il piacere di assistere a questa fase preparatoria, cercando di coglierne e capirne gli aspetti qualificanti che poi saranno sviluppati sul campo.
Proviamo a quantificare i risultati delle sue ricognizioni
Forse posso dire quanti chilometri ho fatto, inerpicandomi anche nei luoghi più impervi nelle mie ricognizioni e nelle mie visite: sono tanti, migliaia. Questa non è una misura certa, ma mi creda, non mi pesano e mai mi peseranno. Durante l’anno, aldilà delle campagne di scavo a cui partecipo, cerco di ritagliarmi un po’ di tempo per andare con il mio amico e maestro Roberto Paolelli detto il Falisco, a visitare monumenti e necropoli, magari in posti dove sono stato decine di volte, ma dove ancora riesco a trovare qualcosa di nuovo da vedere che magari non avevo notato nelle precedenti visite. Ed è bello mettersi a chiacchierare, fare delle ipotesi, cercare dei riscontri sul terreno e magari ritrovarsi a casa con qualche vecchio manuale per trovare quella nota o quello studio che corrobori le nostre discussioni.
Scava anche sotto la pioggia e al freddo?
Difficilmente gli scavi si fanno durante il periodo invernale. Dovendo lavorare all’aria aperta le condizioni meteo favorevoli sono un fattore fondamentale. Ma le visite e le ricognizioni si fanno anche con la pioggia. Anzi, la pioggia dilavando il terreno, mette spesso in risalto i reperti, quindi la miglior ricognizione si fa dopo una forte pioggia. Poi ci sono i musei, non lo dimentichiamo!
Molte volte rinuncia ai suoi giorni di ferie per dedicarsi alla sua passione. E’ così?
Quale miglior vacanza c’è che vivere il territorio, visitando musei, magari partecipando agli scavi o facendo ricognizioni? Stia tranquilla che troviamo sempre il tempo per un buon pranzo con gli amici, un bagno in mare o al lago, o più semplicemente in piscina ad un agriturismo. E mi creda che questo tipo di vacanza non costa più che un soggiorno in riviera. Anzi, costa molto meno ed è molto più piacevole, almeno dal mio punto di vista!
Con sé ci sono anche la sua compagna e le sue due figlie, che conoscono bene l’etrusco. Non si sono mai opposte?
La mia famiglia è composta dalla mia compagna Elena (detta la Protovillanoviana), le mie figlie Costanza ed Aurelia ed il mio cagnolino Spino. Mi seguono volentieri nelle mie vacanze archeologiche. Magari Costanza, che ha ormai quasi 22 anni, viene con noi più sporadicamente, ma Elena ed Aurelia sono delle compagne immancabili. Non è un esercizio facile: non si tratta di una lingua neolatina ed i suoi caratteri di scrittura non sono quelli che usiamo normalmente. Ma anche questa è una scoperta che facciamo insieme ogni volta che c’è qualche scritta in etrusco.
Qual è stata la sua scoperta più importante?
Le scoperte non sono “mie”, ma della squadra, il team che le ha effettuate con alle spalle studi e pianificazione. Io ne faccio parte, ma con una funzione ben precisa. Nei tre anni in cui ho avuto la possibilità di scavare nell’area della Doganaccia a Tarquinia, con l’Università di Torino e sotto l’egida della municipalità e della Soprintendenza romana, ho potuto assistere in prima persona ad importantissime scoperte, a cominciare dalle due camere laterali del Tumulo della Regina, dei resti del podio monumentale, probabilmente ornato da statue, di cui abbiamo trovato purtroppo soltanto frammenti, per finire alle scoperte più recenti, quelle più eclatanti.
Quali?
Mi riferisco alla scoperta di un tumulo della fine del VII° secolo a.C. completamente inviolato. Pensi, erano più di 30 anni che non veniva scoperta nell’area della Tuscia una tomba in cui non era passata l’opera devastante degli scavi clandestini. Per me è stata un’emozione fortissima: ho avuto la possibilità di scendere per secondo, dopo l’archeologa responsabile dell’area, appena dopo l’apertura della porta che sigillava l’entrata. Vedere innanzitutto i resti umani, sulla banchina funeraria di sinistra, mi ha provocato una forte emozione: mi trovavo al cospetto di un etrusco così come era stato deposto, dopo ben 2600 anni. Di fronte a me la “pietas” della sepoltura. In quel momento la ricchezza dei corredi, la bellezza dei vasi, la consapevolezza dell’importanza della scoperta, sono passati in secondo piano. L’essenza stessa di quelli che considero essere i miei antenati era lì ed io ne ho sentito forte la presenza dentro di me. Lo confesso, non sono riuscito a trattenere le lacrime: emozione, gioia ed anche tanto amore per questo popolo meraviglioso.
L’oggetto più particolare che ha trovato?
Osservando un piccolo aryballos, un unguentario, ancora appeso al muro così come era stato lasciato da chi aveva allestito la tomba per l’ultimo viaggio di quei defunti, mi ha dato la sensazione che in fondo, anche se da un passato remoto, quella civiltà ci dà ancora un meraviglioso messaggio di passione e affetto.
L’esperienza più “tosta” che non dimenticherà mai?
Tutto quello che ho visto nelle mie ricerche, nei miei scavi e nelle mie attività alla ricerca della civiltà etrusca rimarrà in me per sempre, indelebile. Ma la scoperta più “tosta”, o forse quella che per me è più cara, è il rinvenimento di una base scolpita in arenaria, in piccolo podio, con sopra un piedino di bronzo, appartenete ad una statuetta, databile al IV° a.C. La trovai nel 1976 nella cittadina di Impruneta, provincia di Firenze, in un luogo che si chiama “le Sante Marie” dove, per conto della Soprintendenza, partecipavo alla campagna di scavo e recupero di una antica stipe votiva etrusca. C’erano stati i lavori di sbancamento nell’area per la costruzione di un nuovo insediamento urbano e con il gruppo archeologico cercavamo di recuperare il recuperabile. Fu uno scempio, ma in quella frenetica ricerca mi imbattei in questo importante reperto che oggi è esposto nelle vetrine del Museo Archeologico di Castellina in Chianti. Ogni tanto vado a vederla e provo una grande soddisfazione. Quella fu la vera emozione della scoperta, una cosa meravigliosa che non dimenticherò mai. Tosta davvero!
Mi diceva che sostiene i costi degli scavi.
Nel 2011 e 2012 ho contribuito al finanziamento delle ricerche con altre aziende, la Soprintendenza, il Comune di Tarquinia ed in parte l’Università. Invece ques’anno, insieme al mio amico Pietro Del Grosso di Saluzzo, siamo stati gli unici finanziatori, forse gli unici a credere veramente ad un progetto scientifico, quello del Professor Mandolesi. Non siamo impegnati solo nel finanziamento degli scavi: sono stato giusto qualche giorno fa a visionare l’ultimazione dei restauri ai resti di un “carpentum”, un carro lento probabilmente di uso femminile, i cui pezzi sono stati rinvenuti nella campagna 2011 nella tomba a Tumulo della Regina nell’area della Doganaccia. Del carro sono rimaste buona parte dell’armatura metallica della ruota ed alcune modanature del cassone, fatte in ferro con motivi zoomorfi, forse cani e felini. Presto organizzeremo una mostra per mostrare agli appassionati un pezzo importante della nostra storia e della civiltà etrusca.
Non le fa rabbia che lo Stato si appoggi ai privati?
Più che rabbia c’è rammarico, delusione, ma non rassegnazione. Leggendo la Costituzione si dovrebbe capire quanto sarebbe importante che lo Stato facesse la propria parte nel finanziare adeguatamente la ricerca o, più semplicemente, la cultura. La rabbia viene quando si vedono monumenti letteralmente “andare in malora” perché mancano i restauri e le manutenzioni. Si potrebbe fare tanto: io sono convinto di due cose.
Ci dica
Uno, che per far ripartire veramente la nostra economia e lo sviluppo di questa nazione bisogna ricominciare dalle fondamenta: senza cultura, senza consapevolezza della propria storia e delle proprie radici non si va da nessuna parte. Per troppo tempo ci siamo dedicati a demolire letteralmente il nostro sistema d’istruzione. Vedo intorno a me molta ignoranza e poca lungimiranza anche in coloro che dovrebbero essere i promotori di questo concetto.
La seconda?
Contrariamente a quello che disse un nostro Ministro dell’Economia qualche anno fa, “con la cultura si può mangiare”, fare business. E’ qui che l’intervento dei privati, se ci fosse una legislazione favorevole, sarebbe fondamentale. La nostra Italia ha un bene originario inesauribile, rappresentato dai nostri monumenti, dalla nostra cultura, dal nostro ambiente naturale meraviglioso, dalla nostra tradizione eno-gastronomica che va soltanto mantenuta e valorizzata. Per fare un esempio: noi abbiamo una miniera d’oro che non si esaurisce mai, ma che rischia di crollare per non essere mai più ritrovata. Bisogna cambiare mentalità: fare business con la cultura non è immorale, anzi, è necessario.
Ma per farlo cosa occorre subito?
Cambiare “marcia”, cambiare mentalità ed ammettere i privati in una cosa da sempre considerata pubblica ed al di fuori dell’applicazione dei concetti imprenditoriali. Coloro che dicono che i privati non possono avere il senso della cosa pubblica lo fanno soltanto perché terrorizzati dal cambiamento della mentalità. In ultima analisi: i privati potrebbero fare molto di più, se solo fosse loro permesso. Quindi guardi: mi fa rabbia solo che le cose non siano regolamentate in favore degli investimenti privati nella cultura. Prendiamone atto, lo Stato non ha più risorse da spendere e non facilitare l’ingresso dei privati nella gestione della cultura significa abbandonare definitivamente la possibilità di far rinascere una fonte di progresso fondamentale.
Quanto ha investito sino ad ora?
L’impegno si aggira sui 45mila euro in tre anni, ma suddiviso su più investitori. L’impegno non è soltanto mio, ma anche di altri imprenditori che mi hanno voluto seguire in questa operazione. Io ho soltanto messo, oltre che un po’ di soldi, il mio impegno di “catalizzatore”. Insomma, come dicono gli anglosassoni, sono il “fund riser”.
Cosa le viene in cambio di tanta disponibilità?
Bella domanda. Sinceramente quello che mi spinge a continuare in questa opera sono la mia soddisfazione personale e l’apprezzamento di tanti amici, che mi spronano e mi invitano ad insistere in questa mia opera. Vede: prima di iniziare a finanziare la ricerca archeologica ho avuto una stupenda collaborazione con il Museo della Specola di Firenze, con gli Entomologi li impegnati. Si parlava di insetti, di scoperta di nuove specie e di restauro di sale del museo. Ancora oggi, dopo tanti anni, ho da loro attestati di stima e di affetto. Forse è questo che più mi sprona nel continuare a finanziare la ricerca: l’affetto, l’apprezzamento di chi mi sta intorno e l’amore per la cultura del mio Paese.
Ma sono tutte rose e fiori?
Nel mio ruolo mi attiro anche tante critiche, forse dettate più dall’ignoranza e, qualcuno mi dice, dall’invidia. Ma è normale: quando si supera la soglia della notorietà qualche “venticello” vola sempre. Poi ci sono gli impegni con il mio lavoro di imprenditore: accomunare le esigenze della mia passione con le necessità del mio lavoro non è sempre facile e non sono poche le notti in bianco per recuperare il tempo rubato all’azienda. Ma non saranno queste le difficoltà che mi fermeranno!
Quale la scoperta che sogna di fare?
Più che una scoperta singolare io spero di poter continuare ad affiancare la ricerca, quella con la R maiuscola. Cerco di essere umile: io non sono altro che un appassionato dilettante, che cerca di fare ammenda al tradimento del suo amore originario per l’archeologia – ho fatto tutt’altro mestiere – finanziando la ricerca e la cultura. Mi piacciono i progetti dove c’è entusiasmo. Quando incontrai la prima volta il Professor Mandolesi, visitando gli scavi del Tumulo della Regina nel 2010, ero appena reduce da un viaggio nella foresta pluviale del Vietnam al seguito della spedizione degli entomologi che avevo finanziato. Mi affascinarono le parole del Professore.
Cosa dicevano?
“Ci sarebbe tanto da fare, da scoprire, da studiare” e guardando quella gente, archeologi, volontari e studenti lavorare intorno al Tumulo, feci un salto indietro di trenta anni e dissi a me stesso che avrei dato una mano a quel gruppo meraviglioso di professionisti ed appassionati. Spero di poter continuare: certo non mancano i progetti su cui impegnarsi!
Quanto si sente tosto?
Guardi, su questo concetto ci faccio un po’ di umorismo: quando ho detto al mio amico Pietro, co-mecenate di questi scavi, il titolo della rubrica, Tipi tosti, mi sono messo a ridere: gli ho promesso una maglietta con la scritta “Tipitosti, non scamorze”. Forse con malcelato orgoglio, devo dirle che se sono un Tipo tosto lo devo al fatto che nella mia vita ho sempre fatto quello che ho voluto ed i piccoli successi che ho ottenuto sono dovuti alla mia determinazione nel raggiungere l’obbiettivo. Così come nella mia professione anche nell’opera di finanziamento dell’archeologia e della cultura: poniamoci un obbiettivo, lavoriamo sodo e senza tentennamenti, passiamo sopra le difficoltà con attenzione, passione e professionalità: i risultati verranno di certo. Sono un Tipo tosto? Non lo so, giudichi lei. ma di certo non sono una scamorza. W gli Etruschi!
Cinzia Ficco