Lorenzo Viani, Sono nato nella Darsena vecchia di Viareggio

Da Paolorossi

Mio padre si chiamò Rinaldo e mia madre si chiama Emilia, nati alla Pieve di S. Stefano, paesetto situato tra i monti della Lucchesia. I miei antenati e mio padre e mia madre, fino a che non discesero al mare, per motivi di cui parlerò lungamente, furono contadini e pastori ed ebbero sacri la stalla e l’ovile.

Io sono nato nella Darsena vecchia in Viareggio, la sera di Tutti i Santi del 1882. Sono stato battezzato il giorno seguente, che è quello dei Morti, al fonte battesimale della chiesa di San Francesco.

Viareggio – Darsena vecchia – Foto tratta da Nuova Viareggio Ieri -N.9-novembre 1993

Furono miei compari i coniugi Chevalot, i quali erano servi di Don Carlos di Borbone al cui soldo era pure mio padre. Mi chiamo Lorenzo perchè così si chiamava il mio compare, mi chiamo Romolo perchè Romola si chiamava la mia comare, e mi chiamo Santi perchè mia madre volle mettermi anche questo nome augurale.

La mia comare, alta, flessuosa, dai capelli del colore delle foglie d’ontano nell’ottobre, con gli occhi vellutati, diverbiava sovente col marito, testa impomatata, viso glabro, profumato di canfora, a cagione ch’ella, sterile, voleva ch’io fossi chiamato Romolo.

– Mais non, mais non, voyons – diceva seccato il marito. Allora la leggiadra Romola s’impermaliva e piangeva anche.

Ero già allevato, e camminavo spedito, e il cervello riteneva già le impressioni. Ricordo bene che quando mia madre mi portava al “Palazzo” i diverbi tra i miei compari si riaccendevano: lei lacrimosa mi chiamava, quasi angosciosamente, Romolo, e lui, stizzato, mi chiamava Lorenzo. Mia
madre, per equilibrare, mi chiamava Santi.

Mia madre allora, non ancora flagellata dalle amaritudini, nè raccorciata dal tempo, era alta, rassodata dai trent’anni che aveva trascorsi tra la selva e la semina, la forca e la lettiera delle pecore, il lezzo dei manti e il profumo dinervante dell’erba peporina, coi pomi del petto di marmo, gli occhi balenanti e un sorriso granito che, arrossendo, nascondeva dopo il dosso delle mani onde nascondere le sette finestrelle che si erano aperte nella sua dentatura nel tempo ch’ella m’ebbe a concepire.

Dopo ch’io venni al mondo ella sorrideva in penombra: sette denti: la prima intaccatura di quella statua, la prima scalfittura su quel dipinto facile e carnoso di Guido Reni.

Mio padre, allora, non scalpellato dai patimenti nè mortificato dalle umiliazioni era florido e tarchiato. Le sue mani erano ancora scabre e terragne, e avevano ancora il cavo della giomella di quando egli si abbeverava, a mani accoppiate, su per le selve con l’acqua che pollava limpida dai canali. Il sorriso del servo stonava su quel volto bronzato e duro.

( Lorenzo Viani, tratto da “Il figlio del pastore”, 1929 )

Viareggio – Torre Matilde e Darsena Vecchia


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