Lorenzo Viani, Viareggio-Villa Borbone: Principi e Principesse

Da Paolorossi

Il “Palazzo” era sempre frequentato da grandi personaggi. Ricordo che mio padre diceva a mia madre:
– È arrivato il duca di Bardi – e in quei giorni si piastronava il petto con certe camice bianche e lucide come il marmo.
– Domani arriva il principe Massimo – e la solita camicia appariva sulla coperta del lettuccio di mio padre.
– È arrivato l’arciduca Leopoldo, è arrivato il re Ferdinando, è arrivato il Sovrano, è arrivato il principe.

Viareggio – Villa Borbone – Interno

Tutti questi personaggi, noi ragazzi, li vedevamo da lontano. Quelli in divisa ci colpivano di più. Ferdinando di Bulgaria, con un grande cappotto a due petti, coi bottoni d’argento, e gli stivali di bulgaro giallo-cromo, con gli speroni stellati, il largo viso su cui l’eminenza del naso primeggiava, gli occhi sforbiciati con un taglio secco, i baffi e il pizzo fulvi e mossi, portava un berretto di corta visiera incerata, basso, largo, tagliato a fil di spada.

Egli capitava al “Palazzo” dalla villa delle Pianore, ove era fidanzato con una delle numerose figlie del duca Roberto.

L’arciduca Salvatore d’Austria, fidanzato di donna Bianca, era altissimo, con tutti i segni caratteristici della sua Casa, uguale alle stampe dell’imperatore giovane: occhi ricettati entro un’orbita larga, baffi spessi, viso ad ovolo, fronte vastissima ed alta, tanto alta che la parte capillata del capo si scorgeva appena anche quand’egli era in capelli.

Il principe Massimo, fidanzato di Donna Beatrice, dai capelli biondi come un mannello di grano e gli occhi ceruli, sembrava di cera; sul viso trasparente come la porcellana staccavano gli occhi bianchi e, tra la barba color di macuba, la bocca larga e color rosa.

Ma il più notevole era il fidanzato di Donna Alice, un principe del nord, enorme, colossale, biondissimo canario, con gli occhi di cobalto; una testa di putto rubicondo sopra il corpo di un Bacco; vicina a lui, donna Alice diventava una bimba.

I personaggi portavano il seguito e il “Palazzo” si animava di signori tutti bianchi e neri, che parlavano in cento lingue, parlavano fitti fitti e pareva che avessero da dirsi sempre tante cose.

Soltanto il Sovrano era taciturno. Anche in quei trambusti egli, e sempre all’ora medesima, usciva e si avviava a passi spediti nel folto della boscaglia. Se era al “Palazzo” lo seguiva il principe suo figlio.

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La più bella delle principesse, dell’avvincente bellezza delle donne spagnole, slanciata e flessuosa come una figura regale di Goja, donna Elvira, era la più taciturna e la più sola. I grandissimi occhi neri e languidi staccavano sul pallore del viso ovale. La principessa Elvira soleva ravvolgersi il capo entro uno scialle bianco screziato di trine, e gli occhi balenanti parevano due rondini posate sopra una rappa di biancospino.

Donna Elvira ascoltò le parole del suo trepido cuore; amò, riamata, il pittore Folchi, coniugato. Commise il peccato ed accettò serena la penitenza spietata.

Una notte, raccolti pochi indumenti ed alcune gioie, ravvolto il bel corpo in un mantello nero, traversò l’immenso bosco tenebrato dalle leccete e dai pini.

La guardia del cancello maggiore salutò umilmente la principessa che, a quell’ora insolita, andava verso la stazione, verso il suo sogno.

Nel “Palazzo” la sveglia fu drammatica.
– La principessa Elvira dorme?
– È morta?

Aperta la porta del suo appartamento, questo fu trovato vuoto e come rovistato dai ladri. Il padre scrisse: Oggi è morta mia figlia Elvira.

Ed ella, progenie di re, andò come un’ombra verso le peripezie della vita nomade ed oscura, e corse, e forse corre ancora, dietro al suo sogno.

( Lorenzo Viani, tratto da “Il figlio del pastore”, 1929 )

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