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Losing Our Virginity

Creato il 10 dicembre 2015 da Zambo
Losing Our Virginity
L'imprinting è importante, ed io sono stato fortunato a nascere musicalmente fra gli echi che si andavano spegnendo della Swinging London e l'arrivo della new wave.
Signori di nasce ed io, modestamente, lo nacqui (diceva Totò).
Dai quattordici o quindici anni di età investivo la mia mancia settimanale in vinili; durante le mie vacanze londinesi ancora di più, un po' perché è nella capitale del mondo che si trovavano gli stimoli, un po' perché in viaggio ero più rifornito di soldini dalla famiglia. E fu in un negozio di dischi di Roma, nella gita scolastica della IV liceo, che acquistai il doppio V, un sampler della Virgin Records. Un po' perché come sampler era venduto a prezzo speciale, un po' perché la Virgin Records in quel 1975 era un po' come Atene nell'era classica. Per tacere dell'etichetta disegnata da Roger Dean.
Le quattro facciate di quel V erano zeppe di nomi che non conoscevo ma che si sarebbero trasformati in molti dei miei artisti preferiti, ed oggi, a quarant'anni di distanza, le cose non sono molto cambiate.
L'occasione per condividere questi ricordi viene dalla stampa di un'antologia su CD della stessa Virgin Records, un triplo intitolato Losing Our Virginity, sottotitolo: The First 4 Years '73 - '77.
Anni di transizione il 1973, '74, '75. Si erano chiusi i ribollenti anni sessanta, con la Swinging London e la Summer Of Love. La musica Americana letteralmente inventata da The Band e Bob Dylan si era trasformata nella West Coast degli Eagles, la musica sperimentale del progressive infiammato da In The Court Of The Crimson King si era impantanato in un manierismo di virtuosismo ed effetti sonori. La musica che si sentiva più spesso in radio era il bubblegum di gruppi come gli Abba ed i Queen.
Il rock'n'roll era tenuto vivo solo dal glam rock di Bowie, Lou Reed e Rolling Stones, mentre per il resto si trasformava in hard rock per orecchie semplici. Nei sobborghi di Londra si suonava il pub rock, ma noi non lo sapevamo.
La Virgin era un etichetta indipendente che nasceva dal progetto di un venditore di dischi per posta, che aveva aperto un negozio di dischi e poi assemblato uno studio di registrazione addirittura in un castello, Il Manor (dalle parti di Oxford), sul modello del Château d'Hérouville in Francia. Richard Branson, il patron, aveva pensato per l'etichetta un genere ben diverso dal pop di classifica che le case discografiche si erano messe a rincorrere; cercava invece un rock sperimentale, innovativo e soprattutto alternativo. Il progetto di un timido polistrumentista che era stato rifiutato da tutte le case discografiche inglesi, Mike Oldfield, sembrava una inaugurazione adatta per la nuova etichetta.
Tubular Bells avrebbe fatto di Branson un milionario, con due anni consecutivi di top ten. Mica male per un disco numero di catalogo V 2001. Il successo di Oldfield diede alla Virgin la possibilità di aprire le sue porte ad ogni sorta di artista alternativo, dai Gong di David Allen a tedeschi come Faust e Tangerine Dream. Quel momento d'oro durò non cinque anni, come vorrebbe il sottotitolo, ma dal '73 al '75, per poi riprendere in un diverso contesto musicale nel '77 con i 45 giri dei Sex Pistols. Negli anni ottanta la Virgin avrebbe messo sotto contratto artisti come Roy Orbison e Keith Richards.
I brani di V e di Losing Our Virginity sono abbastanza simili, anche se una caratteristica del sampler originale era quella di contenere solo outtakes, niente che fosse già stato stampato, mentre il nuovo è più un'antologia. In entrambi svetta Robert Wyatt, l'ex batterista dei Soft Machine che era reduce dal dramma di essere rimasto paraplegico dopo essere volato da una finestra, ma si trovava anche all'apice della ispirazione, con l'album Rock Bottom e i due singoli I'm A Believer (finito a Top of the Pops) e Yesterday Man (ancora più bello, ma frenato dall'insicurezza della casa discografica, che stentava a proporre una star in carrozzina. Altri tempi in tutto, anche nel male). Aveva suonato su Rock Bottom anche uno svitato dal nome Ivor Cutler, che pure si guadagnò un contratto. La sua Go And Sit Upon The Grass, purtroppo è presente solo sul vinile.
Dalla scena di Canterbury arrivavano gli Henry Cow di Fred Frith (anche se tecnicamente erano di Cambridge), che formarono un curioso ed inedito mix con gli Slapp Happy, un duo teatrale di Amburgo. Sempre da Canterbury arrivavano gli Hatfield and the North, degni successori dei Caravan della terra del grigio e rosa. Da uno dei loro due dischi, The Rotter's Club, lo scrittore britannico Jonathan Coe trasse il titolo del proprio romanzo, La Banda dei Brocchi.
Ed i Gong, con le due anime di Daevid Allen e Steve Hillage. Mike Oldfield è rappresentato da un lungo estratto da Tubular Bells. Si guadagnò un contratto anche il classicheggiante David Bedford, amante dell'orchestra, che aveva suonato le tastiere nella band di Kevin Ayers, i Whole World, di cui Oldfield era il bassista.
La seconda facciata di V era strepitosa: puro rhythm & blues dal vivo, due brani di Kevin Coyne, fra cui la lunga Majory Razorblade suite registrata ad Hyde Park, per me l'apice del R&B britannico, e due di Captain Beefheart, fra cui Mirror Man. Coyne era un talento assoluto ed un cantante potente e sgangherato; fosse esordito un poco più tardi, nella scena pub rock, forse avrebbe avuto più fortuna. Come anche se Branson avesse stampato l'irresistibile Live at Hyde Park, che invece restò inedito e si può ascoltare solo nell'ultimo disco del cofanetto dedicato postumo a Coyne.
Di Cpt. Beefheart, che spesso e volentieri si esibiva a Londra, si dice che il suo fosse il live show più irresistibile della scena. Non gli bastò per arrivare al successo, così come l'amicizia con Frank Zappa. La Virgin gli fece uscire Unconditionally Guaranteed, di fronte a cui i fan storsero il naso; a me piaceva, forse perché non conoscevo i suoi dischi precedenti.
I Faust diedero alle stampe Faust IV, con un gran plauso della critica; un album duro, per molti versi quasi punk. Io amai il rock tedesco (che conobbi proprio su V), ma ai Faust, troppo radicali,  preferivo Tangerine Dream e Can. I secondi si consumarono la suola delle scarpe per le strade di Londra in cerca del successo, ma quando alla fine firmarono per la Virgin era troppo tardi, avevano finito la benzina.
Su V i Dream si presentavano con l'inedita ed immobile Overture dell'Edipo Tiranno. Per la Virgin i tre Dream, Franke, Froese e Baumann, registrarono i loro album migliori, da Phaedra a Stratosfear.
Il box presenta invece Edgar Froese, non con il capolavoro Aqua, ma con il secondo album, che già presentava i segni della decadenza ambient melodica che avrebbe caratterizzato il resto della sua (mediocre) produzione.
Chi altri c'è? L'elettronica di White Noise e di Clearlight Symphony Orchestra, che faceva musica al sintetizzatore, un po' come avrebbe fatto Franz Zappa in seguito con il synclavier, in dischi come Jazz From Hell.
Il cantautore Tom Newman, con la bella Superman e Sad Sing. Ed un grande ed insospettabile Link Wray che nel dimenticato I'm So Glad, I'm So Proud incrocia il rock'n'roll rauco di Rumble con la psichedelia dei 13rd Floor Elevator.
Tempi in cui la musica non era conformista e precotta, ed i produttori non erano commercialisti. Ed i dischi, guarda caso, vendevano.
Losing Our Virginity

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