Lost in a desert beach.

Creato il 31 gennaio 2013 da Enricobo2

Jambiani - Meditazione 

Bene. Non dovete pensare che vi abbia trascurato in questi giorni, lasciandovi solo il piacere di godervi qualche ormai vecchia immagine laotiana, ma vi assicuro che in Tanzania la connessione è spesso difficile quando non impossibile. Ora però, che la parte impegnativa del viaggio (e posso dire che, dati i miei limiti lo è stata)  si può dire compiuta, giunge come ogni volta il momento di assimilare le esperienze meditandone se possibile i contenuti. Per questo ho deciso che è ancora presto per rientrare e che questa fase del viaggio altrettanto importante possa essere espletata su una spiaggia quasi deserta, col solo rumore dello sciabordare delle onde, qualche palma isolata, il sole che tramonta alle mie spalle illuminando il mare smeraldo, acceso da barbagli di luce. Sono seduto su un charpoy di corda intrecciata, davanti ad un piccolo bungalow bianco su una riva che digrada lentamente tra le onde verdi. Sotto i piedi, cipria bianca, farina di conchiglie pastosa e morbida che ti carezza la pelle senza sporcarla. La brezza di mare spira leggera dilatando i tempi del respiro, allentando i muscoli ancor tesi per gli scossoni di strade difficili, dando fiato alle giunture indurite dall'età e dall'artrosi, tranquillità ad un intestino provato. Che dovrebbe fare un povero anziano se non respirare davanti al mare? Mantenere la mente affaticata in stand by, utilizzare una sequenza di pensieri e sensazioni positive, che so io, se ordinare per pranzo, gamberoni ala griglia o brochettes di pesce e polipo o se lasciarsi blandire dall'aragosta, alternando la digestione a fasi di sonno rem per raggiungere una sensazione di pace anche esteriore che metta l'animo in uno stato completamente positivo (anche questo sono le spiagge semideserte), per il momento che, dio non voglia, comunque verrà, quando dovrò riaffrontare Monti, Bersani e quell'altro di cui non ricordo più bene il nome, anche se qui hanno cercato continuamente di ricordarmelo sghignazzando, dei grandi omoni neri che si sbattevano le manone sulla pancia chiosando un mantra, un suono di tamburi lontani nella foresta che avevo dimenticato: bunga bunga, bunga bunga...

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