La famiglia della foto abitava a Kabul, e ha venduto tutto quel che aveva – anche la casa – per raggiungere i parenti in Australia. Ha scoperto in viaggio di avere documenti falsi, benché procurati con tante fatiche: è stata costretta a rientrare ma non ha più i soldi per farlo. E’ una storia fra le tante che si sentono di questi tempi. Ma quando alla storia generica si associano i volti veri di persone che soffrono, sono maltrattate, ricattate, rifiutate da tutto e da tutti solo perché chiedono il sacrosanto diritto di vivere, allora non è più una semplice storia. L’ultimo racconto dell’amico giramondo Fabio Trevisan, ti colpisce al cuore.
Nel mio ultimo viaggio in India ho fatto sosta all’aeroporto di Kuwait City dove, per problemi di mancate coincidenze, ho trascorso una intera giornata. Davanti ai miei occhi sono passate forse migliaia di persone, dai volti e abbigliamento più diversi, a conferma che, ormai, la multietnicità la trovi dovunque nel mondo.Ma una famiglia ha attirato la mia attenzione: padre, madre e due figli. Riesco a comunicare con il padre che parla inglese: sono afgani, di Kabul, partiti con un volo di solo andata per l’Australia allo scopo di raggiungere la madre e la sorella che vivono là.Ma arrivati all’aeroporto di Jakarta (Indonesia), scoprono che i loro passaporti e il visto ottenuti con tanti sacrifici, tra cui la vendita della casa, sono falsi. Pertanto le autorità indonesiane mettono tutta la famiglia sul primo aereo in partenza, non importa per dove, e così atterrano all’aeroporto di Kuwait City, dove si ritrovano senza passaporto e senza soldi per comperare i biglietti (quattro) di rientro in Afghanistan.
A questo punto mi sono sentito di contribuire ai bisogni più urgenti, offrendo loro il soggiorno in hotel per una settimana (e almeno un pasto al giorno) e poi, grazie al PC portatile e Skype, ci siamo collegati con l’Australia per parlare con la madre e la sorella, che la nostra famiglia afgana non vedeva da due anni. Vi lascio immaginare la commozione e i pianti!
Ho anche provato a parlare con le autorità dell’aeroporto, ma non c’è stato verso di trovare una soluzione. Ma è arrivata l’ora del mio volo…….finalmente.
Al momento dei saluti il padre mi fa un regalo: il suo piccolo tappeto da preghiera, il regalo più prezioso, che io non ho rifiutato. Molto emozionato, li ho lasciati. Il piccolo tappeto si trova adesso nella mia casa, al posto d’onore tra gli oggetti più cari.
Sono riuscito a parlare ancora con la sorella in Australia per avere notizie: il fratello è riuscito a rientrare a Kabul ma poi, purtroppo, non ha più saputo niente.