Lost in Yamato – Sesta Puntata – 2009 – Tenryu-Ji & Fushimi-Inari

Creato il 23 marzo 2014 da Egosistema

Lost in Yamato

Parte Sesta – 2009 – Tenryu-Ji & Fushimi-Inari

Sesta Puntata con il nostro viaggio del 2009, visitiamo i due templi più maestosi e pregni di ancestrale misticismo del Giappone!

sabato 22 agosto 2009

14 – The Bambù Forest and the Sensei

Mi metteva un pochino ansia, lo ammetto, ma troppe cose belle celava (bene) anche se erano di difficile scoperta.

Aprì la guida e cercai i tre stelle, quello che non andava perso, lasciai perdere il Golden Pavillion, ci vanno tutti e poi è falso, ovvero è stato ricostruito nel 1950.
Così decido per qualcosa di vero, di autentico, di unico e imperdibile.


Era ora di tornare a Kyoto…

Arrivo alla stazione di Kyoto e mi dirigo al centro turistico, qui vengo scambiato per un francese! Bè sempre meglio di un americano, 1000 volte meglio. Apro la guida e punto il ditino smagrito (poi vi racconto) sulle due mete che ho deciso non potevo perdere e mi faccio dare indicazioni per arrivarci.

Tanto lo so che dopo arrivato sarà un casino lo stesso, ma tantè…
Poi, un pochino sottovoce, dico “Can I make a stupid question… where is the Nintendo Headquarters?” impassibile la ragazza dietro il bancone, sgrana lo sguardo per una frazione di secondo, poi si riprende e con assoluta freddezza e cortesia nipponica mi spiega che è solo un palazzo, non è accessibile all’interno, io le spiego che volevo vederlo lo stesso, allora sempre professionale mi indica il punto sulla mappa e come arrivarci senza batter ciglio… dopo ho realizzato che lo sapeva a memoria! O ci teneva anche lei a saperlo oppure erano in tanti i malati come me che lo chiedevano

Ma la meta di oggi era un’altra: Tenryu-Ji!
Questo tempio è il più antico tempio Zen del Giappone, oltre ad esser il più importante tempio Zen del Giappone, con meraviglie uniche fra i templi Zen del Giappone… insomma ho reso l’idea!
Tenryu-Ji signofica “Heavenly Dragon” e già il nome mi piace un casino, poi non è proprio a Kyoto, ma in un paesino chiamato Sagano, accessibile con il treno della… indovinate? Sagano Line.

 

Oltre alla JR ci sono tante linee private e che nella stessa stazione possono partire innumerevoli linee JR e private, per accedere ai binari passi un tornello che registra sul biglietto o sulla card la stazione di ingresso, poi quando arrivi passi un’altro tornello che si mangia il biglietto oppure ti scala l’importo dalla card, quindi non ci sono controllori sui treni.
Per assurdo ti puoi fare da Sapporo ad Okinawa stando sempre qui binari senza mai uscire alle stazioni!

Arrivo a Sagano dopo aver chiacchierato con una executive che da Tokyo era diretta a Kyoto per un meeting, e… quanto mi piacciono i paesini! Questo bellino paesino sonnolento di provincia è delizioso come Horiuji di Nara e si mangia benissimo, un piccolo trucchetto: il tursita felice è un turista a stomaco pieno, a patto di mangiar sano e leggero e qui nel Kansai è tutto sano e leggero, appetitoso e buonissimo.

 


Arrivo satollo al tempio e me lo giro tutto rapito dal consueto, ma mai bastante, splendore di natura, templi, giardino Zen (il migliore dell’umanità intera azzarda la guida) da girar tutto con le ciabattine lungo i le costruzioni e le balconate di legno antico.

 

Terminato il giro, con ciabattine e senza si esce dall’uscita nord del complesso e qui si svela una sorpresa, un’autentica, inaspettata, sorpresa mozzafiato, una foresta di Bambù!
Il sentiero di snodava oscuro in mezzo a quei flessibili, altissimi potenti alberi di Bambù, non ne avevo mai visti così tanti, non mi ci ero mai incamminato in mezzo!
Ero un pochino spaventato, il primo perchè non sapevo dove stavo andando (a Kyoto, al solito, è tutto in kanji, tutto) e poi perchè è un pochino inquietante passeggiar in mezzo al frusciare sibilante di quella foresta aliena.

Esco e scopro un bel laghetto, con una bella stazioncina (che ovviamente non si poteva capire dove portasse, in effetti è un po noiosa questa inaccessibilità di Kyoto, secondo me non c’è li vogliono gli stranieri, infatti ero l’unico!) una bellissima cicogna in mezzo al laghetto che inizio a percorrerne il sentiero adiacente, per poi scoprire che portava in una specie di quartiere ultra esclusivo residenziale.


Mi perdo un po in quel ben di dio di natura, mi riposo alla stazioncina, mi ripiglio e decido di non rischiar il trenino e tornare ad Osaka per conosciute vie.
Ecco avrò il senso dell’orientamento di una talpa orba, però ho una memoria di ferro, posso percorrere km, ma mi ricordo sempre la strada percorsa, questa cosa mi ha salvato parecchio qui nel Kansai e sopratutto a Kyoto.

Piccola parentesi, vi ricordate che vi ho accennato del mio ditino smagrito, ecco per quanto mangi, qui nel Kansai, sto percorrendo tanti di quei km che sto scomparendo per quanto brucio calorie e sopratutto sudo… qui si suda, non c’è nulla da fare, niente, si suda, tanto, tanto che a volte ti sembra che non smetterai più, che non tornerai mai più asciutto.
Non è il sudore appicicaticcio di Torino è acqua pura, è l’estremo tentativo del tuo metabolismo per potersi difendere dal caldo assurdo, l’unica è fermarsi ogni tanto, bere laghi interi d’acqua (acqua, non le altre bibite zuccherate che vendono nelle macchinette, fanno venir solo sete) e aspettar di evaporar il sudore in eccesso, oppure ricorrere a metodi drastici come l’inzuppatura del tuo asciugamanino portatile (vi ricordate, lo dovete avere sempre!) oppure le salviette chimiche che vendono, imbevute di alcool che da un’immediata sensazione di fresco e il vostro metabolismo fesso ci casca e smetti di sudare.

Torno ad Osaka, da Sagano via Kyoto Station senza pause, per cui a Osaka mi viene scalato l’intera tratta da Sagano, adoro le card! Sono un tremendo sbattone in meno, sono comodissime.
Voglio tornare al Castello di Osaka per godermi l’ultima serata del festival delle lanterne senza pioggia, mi incammino nel parco di Osaka, è l’imbrunire e ad un certo punto si staglia stupendo il castello, ero ancora lontano, ma la posizione era bellissima, scappuccio la mia Lumix FZ28 e mi guardo intorno e lo vedo.
Se in Giappone vedete un vecchietto, con un treppiede da paura e una Nikon esagerata, con un bandana in testa da guerriero, posizionatevi dove è lui poichè avete trovato un Sommo Sensei della fotografia!
Era arroccato sopra un muro e la vista da li era splendida, mi posiziono con la mia solita tecnica libro e pacchetto di sigarette e mi metto a scattare, il sommo Sensei però mi prende in simpatia e nonostante non spiccichi un hello in inglese mi invita ad usare il suo treppiede! Due volte! Al tramonto e quando si accendono le luci di del Castello
E sul treppiede, quando il gioco si fa serio, si va sul manuale e si smanetta con priorità di tempi e diaframma, bisognava impressionare il Sensei

Mi dirigo contento verso il castello e mi fermo a mangiare Takoyaki che insieme alla Okonomiyaki mangiata ieri sono le autentiche prelibatezze di Osaka, non si può venire qui e non mangiarle preparate secondo tradizione nei chioschetti.

Terminata la delizia (temo di essermene assuefatto!) mi dirigo al parco di mille lanterne illuminato e qui mi accorgo dell’immensa potenza fotografica sfoggiata dai Giapponesi! C’era il meglio del meglio dell’industria fotografica nipponica, uno sbotto di Nikon, molte meno Canon, pochissime Sony, una marea di Panasonic (sopratutto point and shot), ci saranno stato miliardi di Yen di attrezzature fotografiche! Il tutto in mano a privati, i Giapponesi sono appassionati di fotografia, l’adorano proprio.

Termino la serata nella mia Shinsaibashi stanco come non mai, ma quant’è bello il Kansai

Good Night in the Bambù Forest!

domenica 23 agosto 2009

15 – The Path of Perception

Volevo che si concludessero in bellezza le mie visite a Kyoto, con la visita al tempio che già sapevo mi sarebbe piaciuto di più, con il gioiello che tenevo nascosto nel cassetto, perchè il meglio si tiene sempre per ultimo

Io adoro i “torii” i shrine gates, i cancelli del tempio.

Li adoro nella forma per me ipnotica e per il loro essere cancelli senza sbarre, il cui passaggio non è fisico, ma sprirituale.
Il tempio, o meglio l’insieme di templi di cui più di 10.000 torii ne ammettono l’ingresso è il maestoso: Fushimi Inari

Inari è il dio Shintoista del riso, dei cereali e del raccolto, quindi dell’abbondanza e della prosperità.

Diversamente da qualsiasi altro tempio, questo è un’insieme di più di 100 templi, a volte poco più di un’altare, dove fiere e indomite volpi (l’incarnazione di Inari) vegliano ai lati.


I 100 e più templi sono dislocati in un’enorme area che si snoda su una collina per più di 4 km, e il percorso, tutto l’intero percorso, per tutti i 4 km è segnato da più di 10.000 torii che ne compongono le pareti e il soffitto in una mistica e ipnotica sequenza di vermiglio del legno laccato e verde degli alberi lussureggianti della foresta selvaggia.

Perdonate se posso sembrar sconclusionato, ma è difficile scrivere ciò che è pura emozione, ciò che non può esser narrato, ma solo vissuto, nel mio piccolo ci proverò.

L‘ingresso del tempio è già una meravigliosa esplosione di nero, rosso ed oro, in forme tipicamente Shintoiste, che ricordo è la religione madre del Giappone.
Ma nulla fa presagire l’inenarrabile, se non i numeri snocciolati dalla guida, che sono impressionanti, ma freddi, come la lieve pioggierellina che viene a posarsi sulle calde pietre del tempio mentre mi appresto la salita.

Il primo impatto è da far rimanere senza fiato, da spalancare la bocca di fronte ad uno spettacolo che neppure l’immaginazione può comprendere.
Il sentiero si svolge diritto fino ad una biforcazione, qui si aprono due stretti corridoi di torii fitti fitti e percorrerli come me al crepuscolo, bè… ma non percorriamo i tempi.

 


Superati i due corridoi questi si riuniscono nel lungo cammino che porterà ad una delle tante stazioni di sosta in prossimità dei templi più grossi.

 

Si raggiunge infine la stazione di sosta e si sono già percorsi non so quanti km tortuosi in ripide scalinate, i turisti si fanno radi, qui ci salgono solo chi ha volontà di vedere, gli stranieri latitano, sono l’unico.

 

Dalla stazione di sosta si apre un’enorme anello, che quivi ha inizio e fine e che porta fino alla sommità della collina, al tempio più alto.

Ma mentre percorro il restante semicerchio… si attraversa una valle nella foresta, ero solo, non c’era anima viva, ero in quella valle colmo di suoni alieni e natura selvaggia e lontano il sentiero dei torii continuava e io ero spaventato, poi ecco, non è stata una percezione conscia, ma in quel momento, in quella foresta, in quel sentiero, ho sentito una verità, che non può esser capita, ma solo percepita e fatta propria.

E’ stato un momento di pura magia, uno di quei rari momenti nella vita di autentica lucidità, dove tutto ti appare chiaro, dove il “qui ed ora” Zen ti appare chiaro, dove “sei” e dove il tutto “è”.

Questo percorso dove il fronte del torii è liscio all’andata e iscritto al ritorno, questa immersione nella natura selvaggia casa degli dei poichè ogni cosa è un dio, questi km percorsi lentamente, quasi sempre senza nessuno intorno, quando si incrocia qualcuno ci si salutava con un bisbiglio, questo sentire un’emozione pregna di significati, non ha parole, Fushimi Inari non è un sito turistico, un “luogo” è un’esperienza che va vissuta, interiorizzata.


Ci sono rimasto quasi 7 ore, tutto era sparito, le altre cose che volevo fare, che importanza avevano, volevo vederne il sole calare, non mi bastava mai la sua bellezza, volevo ascoltarla ancora.

Infine giunse la sera e si accesero le lanterne e il tutto si fece ancora più denso di mistico mistero.

Addio Fushimi Inari, non pensavo, non credevo, ma mi hai tolto le parole dandomi qualcosa che può solo dirsi emozione pura.

Good Night and walk the path…

Fine Sesta Puntata, alla prossima per toccare il cielo con un dito!

つづく


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