Magazine Architettura e Design
Ciò che immediatamente ci colpisce nel lavoro di Roberto Arleo è l’impossibilità di decifrare l’identità dei soggetti scelti occultata da vaste aree di colore circolari localizzate sui volti. Le scene, sapientemente immortalate dal fotografo, presentano tutte il medesimo trattamento, soggetti riconoscibili nell’abbigliamento, negli accessori utilizzati, di cui talvolta ci lascia intravedere una porzione di luogo ma di cui non è mai attuabile un completo riconoscimento. A contraddistinguere ogni singola fotografia all’interno del progetto (?), oltre agli elementi sopra citati, gioca un ruolo fondamentale la differenziazione cromatica dei pallini che assume una sua specifica connotazione all’interno di ciascuna foto.
A che scopo “mostrare” per poi successivamente “occultare”?
Per comprendere il senso di questa operazione è necessario pensare che, in questo caso, applicare un filtro sui volti non vuol dire nasconderli, togliere loro qualcosa, ma piuttosto restituirgli una nuova prospettiva identitaria filtrata attraverso l’esperienza che ne fa l’artista.
Lo strumento attraverso cui avviene questa ridefinizione è rintracciabile nella memoria che come una rete sensibile, trattiene nelle sue maglie alcuni elementi per lasciar andare quelli che in un dato momento appaiono meno significanti.
Se si pensa alla memoria, così come ci suggerisce Bergson, come un cono rovesciato al cui vertice troviamo il momento vissuto, noteremo come questo cono si va costantemente a intersecare con il piano della realtà attraverso i filtri mutevoli della percezioni.
E’ possibile dunque affermare che, in ogni momento, il ricordo che noi conserviamo di un momento, situazione, esperienza sia influenzato non solo dal sentire di cui eravamo pervasi in quel dato momento, ma anche delle sensazioni che ci influenzano nel momento in cui è in atto l’esperienza menmonica.
Arleo usa dunque i pallini e le loro qualità cromatiche come elementi distintivi degli stati d’animo che in lui definiscono l’identità dei soggetti scelti. "Ho ancora impresso mio nonno che fa colazione la domenica di Pasqua, in verità non ricordo bene il suo volto, ma non riesco a dimenticare le sue mani che afferrano quella tazza...".
Si tratta per lo più di amici, familiari o compagne, persone che hanno avuto un ruolo importante nella vita dell’artista di cui egli stesso però non riconosce volti, espressioni sguardi ma piuttosto, stati d’animo, profumi, suoni, colori…
L’artista attua un émbrayage della fruizione, una lettura polarizzata dell’immagine che rifiuta l’interpretazione occasionale perché allude a qualcosa di intimo e personale. E’ un’occasione per mostrare il funzionamento del dispositivo della memoria e quindi per porre l’accento sulla relatività dell’esperienza individuale.
Anche la temporalità scelta dal fotografo per ambientare gli scatti è importante per comprendere il senso delle sue opere: ci mostra un presente che è già altrove rispetto all’oggetto del ricordo. Il tempo qui non è mera successione di eventi, è un continuo intervallarsi di sensazioni passate e presenti. Attraverso il passato siamo in grado di relazionarci al presente, ma è solo attraverso il presente che è possibile definire il passato. Ed in un attimo anche il presente diviene passato.
Il sentimento nostalgico pervade dunque le opere di Arleo proiettandole verso la ricerca di un luogo di consistenza della coscienza, territorio dell’assoluto in cui pensieri e ricordi rivivono eternamente in impulsi sensibili.
Daniela Cotimbo
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