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Lotta e amore

Creato il 09 ottobre 2010 da Renzomazzetti
BICEFALO - Vuoto o con il cervello? E... il cuore?

BICEFALO - Vuoto o con il cervello? E... il cuore?

L’altra sera, attraversando le strade di Alessandria nella nebbia, mi sono venuti incontro i grandi occhi lucenti di Sibilla. E’ nata qui, alla fine dell’altro secolo, e ha attraversato il Novecento tra vita e letteratura amando in modo totale. Sibilla Aleramo ha amato più di quanto ha scritto e ha vissuto la vita in tutti i suoi aspetti concreti più intensamente di quanto non avesse potuto con la fantasia, che pure aveva fertilissima. Il ricordo mi è tornato qui, dove lei è nata, perché l’avevo accompagnata nell’ultimo anno della sua vita a rivedere il Monferrato. Ne conservava soltanto un ricordo sperso.

Era autunno sulle campagne ed era anche tardo autunno per lei. Passando sulla strada tra Nizza Monferrato e Alessandria, di fronte alle foglie gialle dei gelsi fece fermare la macchina per osservarne alcune cadere sull’erba ancora verde. Anche come tappeto alla morte qui c’è speranza. Vedi quel verde indicibile sotto il sole? Mi sono fermata a guardare perché anche la mia foglia sta per cadere. Vorrei cadere anch’io nel verde, sotto il sole, silenziosamente. Così non è triste. Passato l’inverno, il gelso rimetterà le foglie e farà primavera, fiorirà la campagna, tornerà la vita. Così sempre: anche dopo di me verranno donne e uomini che sapranno amare più intensamente.

Fece un segno perché la macchina riprendesse ad andare. Il sole s’abbassava sull’orizzonte e si spegneva contro il parabrezza. Le colline monferrine sparivano e si apriva la pianura alessandrina. Sibilla taceva ma ingrandiva sempre di più gli occhi rimasti azzurri e innocenti a guardare la terra delle sue origini.

Avevo con me l’ultima ristampa del suo primo lavoro: Una donna, uscito nel 1906. Me l’aveva data Emilio Cecchi dopo che avevamo passato una sera insieme parlando di Boine, amico di Sibilla e amico suo. Anche per distrarre Sibilla dai suoi pensieri, presi a leggere le parti più importanti della prefazione di Cecchi: Con la Serao, la Deledda, la Aganoor, il personaggio, la figura della donna scrittrice, s’erano simpaticamente ambientati nella nostra società e ora con la Aleramo non si trattava più di una autrice, d’una artista soltanto; si trattava anche di una rivendicatrice della parità femminile, d’una ribelle. Si capisce così perché una donna dovesse di colpo piacere e non solo in Italia, e Brandes, Gorki, France, Rod, Vernoukee, Graf, Pirandello, Panzini, Zweig e tanti, tanti altri ne scrivessero con entusiasmo.

In Una donna la narrazione fa perno, caso mai raro in quell’epoca, sulla cruda polemica di una quantità di motivi determinanti per l’infelicità di una donna: le eredità familiari, le difficoltà economiche, le incompatibilità regionali, l’ipocrisia, l’ignoranza, le superstizioni ecc. Ha notato qualcuno, e non tanto fuor di luogo, che Una donna è un po’ il Cristo si è fermato a Eboli di quarant’anni fa. Ma alle cause negative del dramma della donna, così nitidamente segnate, al generoso proposito di correggerle e sanarle nell’azione femminista, sono da aggiungere per una intiera valutazione dell’opera sensi più riposti e misteriosi che si affidano unicamente alla poesia.

Sibilla rimase ancora silenziosa, poi, lentamente: Una donna era un libro importante prima di tutto per me. Cecchi lo ha capito benissimo. Tu conosci la mia vita: è un libro che io ho lasciato sempre aperto a tutti. Ho patito uno stupro a sedici anni e quello stesso uomo come riparazione ha voluto sposarmi. Tu capisci che non potevo stare con chi ha aperto una ferita che non è più stata guarita. Una donna era la prima risposta cosciente a quell’atto vile che avevo subito e il mio caso in quel tempo non era certo una eccezione.

Eppure hai saputo amare come nessuna donna che io conosca, troncando e ricominciando. Mi guardò con gli occhi intenti, ancora lucenti e limpidissimi, quasi grata.

Vedi, forse proprio per questo, quando si è trattato di scegliere non ho mai esitato a sacrificare la poesia all’amore, se poesia sta per libri, letteratura. L’amore mi ha dato il vero dono della poesia. Tu sai di Giovanni Cena, di Dino Campana, di Boine, di Michele Cascella, di Boccioni, di Salvatore Quasimodo. Conoscono tutti i miei amori e non tutti nel senso giusto. Ti farò leggere un giorno le mie e le loro lettere. L’amore ci incendiava con tutta la vita dentro e io mi offrivo in olucausto. Con Cena lavorammo per i poveri, per attuare la bonifica delle paludi pontine, poi amore e natura in Sardegna, dove per mesi vivemmo in una capanna come i pastori. Boine invece era lui da resuscitare e amai perdutamente Campana perché non fosse solo nella sua follia. Questo è l’amore totale.

Sibilla Aleramo
Fu proprio a Roma dopo averla accompagnata da Palmiro Togliatti, che Sibilla mi invitò a casa sua al numero 88 di via Panama. Dalla finestra si vedeva il mare di verde che circondava Villa Ada. La casa era piena di libri e del suo sorriso. Timida, trepida, mi portò accanto a un tavolo con sopra tanti mucchi di lettere. Avevo tratto la matita per prendere degli appunti, scrivermi delle frasi. Dino campana mi aveva sempre preso con i frammenti delle sue liriche e lessi, emozionalo, quel loro tragico epistolario, ma appena tentai di ricopiarne qualche riga Sibilla mi fermò la mano.

Non ancora, Campana no. Con lui non è stato solo amore ma angoscia e delizia ogni istante. Pubblicando anche una sola di quelle parole mi pare di calpestare il ricordo dei pochi mesi favolosi passati con il poeta folle.

Allora annotai una delle lettere di Sibilla a Boine quando lui già cercava scampo: Dormirti sulla spalla. Non mi conosci, non m’hai veduta dormire mai. E io so ma non ho ancora sentito quanta possa essere la tua dolcezza. Non mi si romperà il petto prima? Sembra che l’onde stanotte salgano fino alla finestra. Difendimi, sono il tuo amore. Notte. Questo scroscio d’acqua non somiglia più a te né a me stessa, alla mia notte. Senza scampo, nelle vene del desiderio, la tortura, l’amore, il furore. E’ possibile che tu sei di nuovo di un’altra? E che anch’io… Spezzami prima che questo avvenga, fracassami la fronte. Ma no, vorrai provare… Ma sentirai me e dovrai fuggire e cercarmi. Baciami. Sibilla.

Mi prese l’appunto di mano, lo scorse appena, ricordò: Con Boine fu una furia materna. Boine era malato e gracile. Mi pareva di tenerlo in vita amandolo: Ma sono tempi lontani. Forse soltanto ora, da ottuagenaria, vedo con distacco volti, sorrisi, odo parole, ricordo distacchi e ritorni, amori spenti, amori appena accesi. L’amore è senza tempo. Io non l’ho mai incenerito e non ho un solo rimorso.

Poi la corrispondenza con i russi, i francesi, gli inglesi: gli uomini di cultura più noti del mondo avevano scritto tenere parole per lei. Sulla parete di fronte la sua figura disegnata da Tallone, da Cagli, da Guttuso.

Eppure anche sulla soglia della fine Sibilla non era altro d’altro tempo e neppure le sue lettere. Dal tempo di Saffo, per fortuna l’amore dura senza fine e trova sempre le parole giuste. Eterne? Come è eterna l’aria che muta ogni istante, come è eterna la vita che finita in noi risorge in altri. É in questo fuoco che Sibilla Aleramo trovò la forza di non esiliarsi mai, cresceva anzi la sua socialità, maturava il suo progressismo. Il grande suo amore è stato l’uomo come popolo, come forza liberatrice da tutti i tabù. Ricordarla oggi, in questo tempo di contestazione, lei che cominciò a contestare dal primissimo Novecento con un romanzo in difesa dei diritti della donna che fece trasalire tutta l’Europa, vuol dire riconoscere che la contestazione che vince è fatta di lotta e di amore.-Davide Lajolo- Vie Nuove.

GIARDINO AUTUNNALE

LOTTA E AMORE

(Firenze)

Al giardino spettrale al lauro muto

De le verdi ghirlande

A la terra autunnale

Un ultimo saluto!

A l’aride pendici

Aspre arrossate nell’estremo sole

Confusa di rumori

Rauchi grida la lontana vita:

Grida al morente sole

Che insanguina le aiole.

S’intende una fanfara

Che straziante sale: il fiume spare

Ne le arene dorate: nel silenzio

Stanno le bianche statue a capo i ponti

Volte: e le cose già non sono più.

E dal fondo silenzio come un coro

Tenero e grandioso

Sorge ed anela in alto al mio balcone:

E in aroma d’alloro,

In aroma d’alloro acre languente,

Tra le statue immortali nel tramonto

Ella m’appar, presente.

-Dino Campana-


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