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Lou Reed: i Quarant’Anni di Transformer

Creato il 22 dicembre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Lou Reed: i Quarant’Anni di Transformer

Andy Warhol diceva che chiunque un giorno avrebbe avuto il proprio “quarto d’ora di celebrità”. Lou Reed, che ha condiviso tanto con Warhol, quel quarto d’ora l’ha superato da tempo. Proprio questo mese, infatti, ricorrono i quarant’anni dell’album Transformer, uscito l’8 dicembre 1972, che più di tutti ha segnato la carriera solista dell’artista newyorkese. E già all’uscita di Tranformer Lou Reed era una figura di prim’ordine del rock d’autore internazionale: un po’ il fratello minore di Bob Dylan, soprattutto per i testi. Ma potrebbe benissimo essere considerato anche il fratello maggiore di David Bowie, che tanto del suo ha messo proprio in Transformer. La nascita del disco ha, infatti, una storia particolare, un esempio di collaborazione e supporto tra artisti di altissimo livello. Per rendere meglio l’idea a chi non conosce bene i due, è un po’ come quando collaborarono Michael Jackson e Paul McCartney, il Re del Pop e chi il pop l’aveva inventato. Se quella è stata, forse, per lo più una trovata commerciale, Transformer ha senz’altro una grande ambizione artistica. Lou Reed veniva dalla fortunata esperienza con i Velvet Underground, gruppo prodotto da Andy Warhol. Fortunata non proprio dal punto di vista delle vendite, o almeno non solo per quello, ma soprattutto per il consenso di molti giovani che con i Velvet si avvicinarono alla musica e all’arte. Non esiste altro esempio nella musica del ‘900 di una carriera così breve (quattro album tra il 1967 e il 1970) e così influente. Basta ricordare The Velvet Underground & Nico che contiene pezzi come Sunday Morning, Heroin o I’m Waiting for the Man, con la celebre copertina disegnata da Andy Warhol rappresentante una banana su sfondo bianco. David Bowie era un profondo estimatore dei Velvet Underground e di conseguenza di Lou Reed che scriveva i testi delle canzoni del gruppo. Per lui l’immagine di Reed non si era affatto appannata dopo la pubblicazione del suo primo album solista, che di certo non ha lasciato il segno. Si rese perciò disponibile, presso la RCA, per collaborare all’incisione del nuovo album di Lou Reed insieme a tutto il suo staff che vantava nomi di primissimo livello nel panorama rock internazionale, su tutti Mick Ronson. La banda di Bowie è l’esasperazione dei vizi e dei vezzi di Lou Reed e grazie a loro il nuovo album risulta un concentrato di qualità, innovazione e trasgressione.

una immagine di David Bowie Iggy Pop e Lou Reed in una foto scattata nel 1972 620x414 su Lou Reed: i QuarantAnni di Transformer

Lou Reed si trasferisce a Londra per le incisioni e nella capitale britannica trova un mondo che era figlio di quello che aveva vissuto a New York alla Factory di Warhol, che è poi oggetto proprio delle canzoni di Transformer. A New York, però, le drag queen, le esagerazioni sessuali, i vizi erano ancora delle trasgressioni, qui erano moda. Lo stesso Reed affermerà: «Siamo tutti bisessuali, oggi è molto di moda dire una cosa del genere». Nessuno dei suoi attuali collaboratori si scandalizzava, quindi, per i testi sessualmente espliciti di Walk on the Wild Side, che racconta le estreme abitudini di alcuni dei frequentatori della Factory: «Little Joe never once gave it away / Everybody had to pay and pay / A hustle here and a hustle there / New York City is the place / Where they said: “Hey, babe / Take a walk on the wild side”», («Il piccolo Joe non l’ha mai dato via per niente, tutti dovevano pagare e pagare. Una botta qui e una botta là. New York City è il posto in cui dicono: “Ehi tesoro, fatti un giro sul lato selvaggio”»). Per comprendere l’importanza di Transformer, basta ricordare quattro delle undici canzoni che compongono il disco. Quattro brani entrati prepotentemente nella storia della musica rock. La già citata Walk on the Wild Side non è altro che la descrizione di alcuni frequentatori della Factory con i loro comportamenti scabrosi. Il pezzo era stato scritto su richiesta di Andy Warhol che doveva adattare per il teatro un libro di Nelson Algren, intitolato proprio A Walk on the Wild Side. Il progetto fallì e il brano rientrò all’interno dell’album. La canzone è caratterizzata dal famoso giro di basso di Herbie Flowers e dai cori delle Thunderthighs a fare da contorno alla chitarra acustica di Lou Reed e alla sua voce bassa quasi recitata. Per la prima volta nella storia si fanno espliciti riferimenti ai travestiti, alle drag queen, alla prostituzione maschile e al sesso orale.

una immagine di Lou Reed 1 620x906 su Lou Reed: i QuarantAnni di Transformer

Celebre anche Vicious, primo brano del disco, anche questa ispirata da Andy Warhol. Un giorno il padre della Pop Art chiese a Reed di scrivere una canzone sull’essere viziosi e quando il cantautore domandò a Warhol cosa intendesse per “vizioso” egli rispose: «Oh, vizioso, mi picchi con un fiore». Così nacque Vicious e proprio «Vicious, you hit me with a flower» è il primo verso della canzone. Satellite of Love è un altro pezzo forte dell’album. Una ballata glam in cui la collaborazione tra Bowie e Reed raggiunge livelli altissimi nella combinazione delle loro voci: Lou Reed con la solita voce bassa, quasi parlata; David Bowie che nei cori raggiunge note altissime col suo riconoscibile falsetto. Il testo questa volta non è nulla di notevole, ma nell’insieme Satellite of Love è una delle ballate più celebri dell’intera discografia di Lou Reed. Cosa dire infine di Perfect Day? Qui la poetica reediana tocca i suoi picchi più alti. Forse è il vero capolavoro del rocker americano. Una canzone la cui grandezza nasce, come spesso capita in questi casi, dalla semplicità. Il concetto è quasi banale: “come dev’essere un giorno per essere perfetto?”. Il risultato lo è altrettanto: «Just a perfect day / Drink sangria in the park / And then later, when it gets dark / We go home» («Proprio una giornata perfetta, bere sangria nel parco e poi più tardi quando fa buio andare a casa»). L’arrangiamento è stupendo e dà un senso di rilassatezza e di serenità per tutta la durata della canzone. Nel finale Lou Reed si preoccupa di ricordare, ripetendolo per ben quattro volte «You’re going to reap just what you sow» («Raccoglierai ciò che hai seminato»). Basterebbero queste quattro canzoni per fare un grande album. Le altre tracce sono: Andy’s Chest, Hangin’ Round, Make Up, Wagon Wheel, New York Telephone Conversation, I’m So Free e Goodnight Ladies. Ancora la voce suadente di Lou Reed, ancora i suoi testi semplici ma efficaci, ancora arrangiamenti originali.

una immagine di Lou Reed 620x845 su Lou Reed: i QuarantAnni di Transformer

Transformer ci regala anche una foto di copertina con Lou Reed truccato di bianco, col risultato di sembrare un po’ una drag queen, un po’ Frankenstein. L’immagine come l’album entrerà nella storia diventando per la maggior parte della gente rappresentativa dello stesso artista. Gli esperti dicono che Transformer, nonostante la sua importanza, è l’opera stilisticamente più lontana dal vero Lou Reed. Molti però conoscono e apprezzano Reed proprio per Transformer che, di sicuro, è il lavoro che più di tutti ha contribuito a prolungare il suo quarto d’ora di celebrità. Lui che se gli dici che quest’ultima a volte può portare pressione, risponde secco: «La vera pressione la senti in miniera. Avere a che fare con queste stronzate della celebrità non è pressione: è un gioco».

una immagine di Copertina di Transformer 1972 620x620 su Lou Reed: i QuarantAnni di Transformer


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