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Lou Reed R.I.P.

Creato il 28 ottobre 2013 da Zambo
Lou Reed R.I.P.
Allora se ne è andato per davvero. Fino all'ultimo non ci avevo creduto. Non che non fosse ammalato, e gravemente anche, al punto di dover subire un trapianto di fegato. Il conto lo paghi, anche se sei diventato un artista pacato ed un marito amoroso. È che Lou Reed è un artista che c'è sempre stato, non ti aspetti che possa davvero scomparire. Quando mai muore un highlander?
Quando ieri sera sul web hanno cominciato a moltiplicarsi come una slavina i post sulla sua morte, c'era chi proponeva che fosse una bufala, cosa non infrequente su internet. Così sono andato a dormire con la convinzione di ritrovarlo al mondo questa mattina. Ma i fatti hanno dimostrato che mi illudevo.
Nel nostro paese Lou Reed era molto amato, più un artista popolare che di culto, per quello strano fenomeno che in Europa ed in Italia ci porta da sempre ad adottare grandi artisti che in America stentano a sbarcare il lunario. È così dai tempi dei grandi del jazz e del blues, che non potevano credere alle accoglienze da eroi che venivano loro attribuite al loro arrivo a Parigi, a Londra, a Milano. Quanto amavamo Willie DeVille in Italia? Ecco, Lou Reed ancora di più, perché era già un nostro idolo quando Willie imparava i primi accordi di chitarra.
Come tutti, ho i miei ricordi personali. Inizio del Liceo, 14 anni, una iniziale raccolta di 45 giri molto orientata al glam rock, tipo David Bowie, Rolling Stones ed Elton John. Il mio compagno di banco mi racconta di questa canzone, Take A Walk On The Wild Side, e prova anche a cantarla, do do do do do do do, con scarso successo. Quell'estate in Inghilterra metto le mani sulla magnifica copertina arancione e nera di Rock'n'roll Animal, mi ricordo di Lou Reed e l'acquisto.
Con un imprinting così, come altro sarei potuto crescere?
Pensai, ascoltando l'introduzione rovente delle chitarre elettriche di Steve Hunter e Dick Wagner mentre si portano verso il riff di Sweet Jane, che fosse il rock più potente che avessi mai ascoltato. E lo penso ancora oggi, non più teenager e diventato di molti decenni più saggio.
Tutta la storia del rock è attraversata da una discografia maggiore di Lou, da tutti gli album dei Velvet Underground, a Transformer, Berlin, RnR Animal, Coney Island Baby, Street Hassle, Take No Prisoners, New York, Songs For Drella.
Mi ero riavvicinato a lui in tempi molto recenti, per scrivere su Reed e la sua band un lungo capitolo del mio libro, che aveva implicato un viaggio cronologico nella sua produzione, le sue canzoni, i suoi dischi, le sue interviste. In qualche modo una full immersion nella sua vita per almeno un paio di settimane della mia.
Ultimamente Lou aveva trovato la serenità con la compagna definitiva, Laurie Anderson che adorava. Contemporaneamente non aveva perso la voglia di osare e di sperimentare, sia pure con risultati non esaltanti. I concerti degli ultimi anni avevano perso lo smalto, ma non la voglia di incidere. Del remake di Berlin non si può dire che non fosse appesantito e pomposo, e il lavoro con i Metallica non è certamente a fuoco.
Lou era un leone ammalato e indebolito che non aveva perso il coraggio di ruggire. R.I.P.

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