“Ci guardano tutti, i bianchi ricchi e i neri poveri. Non facciamo parte né degli uni né degli altri perché siamo dei bianchi poveri che sono stati estromessi da questa società. Noi siamo in un limbo, siamo arrabbiati e non vogliamo rimanerci”. Questo è lo stato d’animo che emerge più di ogni altra cosa da Louisiana – The other side, documentario che Roberto Minervini ha girato in quell’America che meno è nota al grande pubblico. Un limbo che le istituzioni paiono aver dimenticato e del quale riusciranno a ricordarsi, forse, solo quando la loro rabbia s’incontrerà con una dose d’incoscienza e di risorse tali da scatenare un’altra guerra d’indipendenza. Tossici sull’orlo del precipizio, vecchi tanto più allegri di quanto il colore della loro pelle farebbe presagire: i personaggi che popolano questa storia, come afferma lo stesso regista, vivono delle “rappresentazioni del reale scelte di comune accordo fra me e loro”.
Mettere in scena nel modo più discreto possibile la loro vita così com’è, senza note di regia, è già abbastanza pittoresco, motivo per il quale il lavoro della troupe guidata da Minervini ha cercato il più possibile di mimetizzarsi nelle loro esistenze. Hanno cominciato con Mark e Lisa, drogati che paiono meno disperati e più lucidi di come ce li immagineremmo, per concludere con un gruppo di veterani in disarmo che non potrebbero più imbracciare un fucile ma che temono per la loro sicurezza, per gli abusi che il governo potrebbe perpetrare nei loro confronti.Nonostante la punta di retorica involontaria che emerge da questa rappresentazione, che assomiglia un po’ troppo a quello che si vede in un blockbuster (ma allora i soldati americani sono davvero come quelli dei film?), conoscere il momento storico e sociale dell’America di oggi giova a una comprensione meno superficiale e più genuina del film. Quegli ex soldati hanno delle ragioni per pretendere ciò che pretendono, condivisibili oppure no. Lo sguardo è crudo, senza filtri davanti all’obiettivo (narrativi o fisici che siano), come ammette Minervini. “Conosco bene il linguaggio della fotografia e del reportage” dice, per poi aggiungere “l’elemento essenziale del mio modo di fare cinema è il farsi da parte”. Nascondersi così tanto significa scegliere di escludere la maggior parte del pubblico ma non “fregarsene”.
Louisiana è un film lento difficile da sopportare, che può gratificarti solo se (prima o dopo) t’informi per conto tuo su quel mondo estraneo ma nemmeno troppo. Quante periferie, in tutto il mondo, sono immerse in un contesto simile o almeno comparabile? La gratificazione, però, alla fine arriva. Una seconda visione, probabilmente, scorrerebbe molto più veloce.
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