Magazine Cinema
di Susan Bier
con Pierce Brosnan, Trine Dyrholm
Per chi ha avuto modo di vedere il film della danese Lone Scherfig, "Italiano per principianti" (2000) non è una novità. In quella storia infatti l'amore per il nostro paese era così potente da spingere i protagonisti ad impararne l'idioma frequentando il corso a cui il titolo dell'opera allude. A dimostrazione di una fascinazione tutt'altro che casuale, arriva nelle sale un'altra opera danese, questa volta ben più blasonata per la popolarità di una regista da Oscar, Susan Bier premiata per "In un mondo migliore" (2010) in cui il territorio italico, in altro modo, ma con ben più forza, continua a funzionare non solo come collante narrativo di varia umanità, ma soprattutto come fattore scatenante di una sensualità che proprio il paesaggio nostrano aiuta a risvegliare.
Ad offrire l'occasione è il matrimonio che Patrick ed Astrid decidono di organizzare nello splendido scenario della costiera sorrentina dove Philip (un ottimo Pierce Brosnan), il padre del ragazzo, vedovo inconsolabile e proprietario di un'azienda agricola, possiede una splendida villa. A fargli compagnia, tra invitati stravaganti e dubbi prematrimoniali c'è anche Ida, la madre della sposa, appena abbandonata dal marito, e reduce da una chemioterapia dai risultati ancora incerti. Apparentemente diversi nel carattere e dopo un approccio a dir poco complicato i due finiranno per innamorarsi.
In una filmografia interamente occupata da drammi a forti tinte, un'opera come "Love is all you need" rappresenta sicuramente un'eccezione. A testimoniarlo c'è la scelta dei toni, ora leggeri quando si tratta di deliniare i personaggi attraverso tenere ingenuità - è il caso di Ida che continua a giustificare il consorte nonostante la sua natura fedigrafa - ed insistenti ossessioni - Philip il cui aplomb elegante e distaccato fa a pugni con i nomi degli ortaggi che occupano i suoi discorsi - ora romantici, quando, nella seconda parte, l'attrazione prenderà il sopravvento seppure nei modi controllati della cultura protestante. Ed ancora l'opzione di un paesaggio, definito non dal punto di vista topografico, ma piuttosto dalla somma dei suoi elementi naturali e folkloristici - i colori, la luce, il mare, il contesto perennemente festivaliero, l'evergreen musicale "That's Amore" vero e proprio tormentone - che insieme concorrono a rappresentare l'idea di un altrove a cui tutti i personaggi per diversi motivi anelano, e che fa da contrappunto positivo a quello danese, monocorde e piatto (le composizione delle sequenze casalinghe dominate dal bianco e dal grigio ed attraversate da una geometria lineare sono indicative) di cui nessuno sente la mancanza. C'è soprattutto nel film della Bier la fiducia cieca e tipicamente comedy di antipodi, Ida e Philip, destinati a coincidere nonostante una premessa di evidente diversità. Ci sono le battute, le atmosfere scherzose ed un clima scanzonato decisamente inedito per la regista danese. Eppure nonostante questa diversità "Love Is All You Need" appartiene comunque a chi l'ha fatto, perché il senso di morte è sempre incombente, la famiglia rimane la causa di tutti i mali ( un leitmotiv da Von Trier a Vinterberg) e sullo sfondo si agita un malessere tout court che neanche il finale a lieto fine riesce a stemperare. Più che una pausa di riflessione il film sembra il tentativo di rinnovare la forma di un cinema ormai collaudato, e forse per questo a rischio di maniera. Il primo passo è sicuramente incoraggiante.
(pubblicata su ondacinema.it)
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