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Dicevo, la settimana scorsa, di come H.P. Lovecraft abbia creato una cosmogonia che, a distanza di un secolo circa, si sta riscoprendo sempre più feconda.
Questo soltanto potrebbe essere motivo per riconsiderare, per intero e meglio di come si sia fatto finora, sia la letteratura fantastica, in Italia disprezzata per motivi sciocchi, sia quel manipolo di valorosi che, agli inizi del Novecento, osò scrivere di orrori tentacolari e ancestrali.
La potenza di tale narrativa sedimenta e trova terreno fertile in nuovi autori, più o meno, nelle decadi a venire, influenzati dall’opera di questi folli, finiti in disgrazia, sbeffeggiati dai grandi, amati, oserei dire, dai vinti.
La cosmogonia di Lovecraft è ormai di fatto ambientazione condivisa, della quale e nella quale ci piace, noi che coltiviamo sogni letterari, sguazzare. È una tentazione irresistibile.
E per questo risulta irresistibile, fin dalla copertina, l’ultimo lavoro di Claudio Vergnani: Lovecraft’s Innsmouth.
Perché intravedere, nelle nebbie verdastre, il molo male illuminato della cenciosa cittadina portuale, i tentacoli che sporgono dalle onde, il clima marcio e ammuffito che subito richiama alle narici il tanfo di pesce putrefatto, il profilo della Innsmouth di Lovecraft, non bastasse il titolo, rievoca suggestioni universali. Immediate. Potenti.Però, abbiamo a che fare con Claudio Vergnani, uomo, prima che autore, gentile e forbito, creatore del suo personaggio forse più amato, capace di alternare citazioni coltissime con gergo affettato e luride bestemmie.
Sì, è l’ennesima avventura avente, tra i protagonisti, il mercenario Vergy, che è personaggio ricorrente, oserei quasi sospettare alter ego dell’autore, come fu quel Conan il Cimmero, che stava sempre in piedi dietro la sedia di Bob Howard per costringerlo a narrare le sue gesta, minacciandolo nel frattempo con un’ascia.
Ora, non credo abbiamo qui a che fare con medesima mitologia, ma evidentemente il nostro Vergy esige di essere narrato, alle prese con misteri sovrannaturali, o paranaturali, ben celati agli occhi dei mortali. E magari sta lì anche lui, a minacciare col collo rotto di una bottiglia, chissà.Cominciamo col dire che Lovecraft’s Innsmouth è, a dispetto del contenuto, che può apparire scanzonato se filtrato dalla bocca del nostro protagonista, sentitissimo omaggio al racconto originale.
Il Lovecraft’s Innsmouth è un parco divertimenti, nominato per l’appunto “con molta fantasia”, dedicato a The Shadow over Innsmouth, il racconto originale del “segaiolo di Providence”. Sì, proprio lui, quello scribacchino caratterizzato da quel periodare moscio e iperfarcito di aggettivi quali sconvolgente, tentacolare, incomprensibile, protoplasmico. Così ce lo descrive Vergy. Perché lui è un mercenario disincantato, e perché Lovecraft non è privo di difetti, da un punto di vista meramente tecnico.
Vergy e l’io narrante sono assoldati da Franco Brandellini, professore appassionato di archelogia misterica, per una innocua gitarella al parco giochi di Innsmouth, dove ci si può immergere, per chi ha la passione, nella malsana e maleodorante atmosfera della Innsmouth soggiogata dal culto di Dagon, capitanato da Marsh in persona.L’amore per Lovecraft si evince fin dall’arrivo dei protagonisti, rigorosamente in corriera sgangherata, al Lovecraft’s Innsmouth.
E qui, le parole compiono la magia di restituirci la cittadina.
O meglio, di rendercela attuale.
Trattasi, a mio avviso, non di banale e comodo omaggio tra narratori di horror: ma di opera di scavo e restauro.
Pur sussistendo la finzione di cartapesta, sulla Innsmouth di Vergnani, che tale è perché dichiaratamente attrazione turistica, una sorta di Jurassic Park con, al posto dei dinosauri, uomini-pesce, è invece all’opera una reintroduzione di un mito antico, attualizzato con occhio moderno.
Non è, questa volta, uno studente di architettura che ci introduce a questo luogo troppo aberrante per essere vero, ma una coppia di mercenari, che di posti merdosi nella loro carriera ne hanno visti troppi, che hanno un gusto per la narrativa e che ci accompagnano nel classico rifugio della mente: Innsmouth.
Cittadina che noi, amanti del fantastico, abbiamo visitato col pensiero migliaia di volte, immaginandoci percorrere le viuzze strette e fangose, osservare dubbiosi i tetti pericolanti e, ancor più ansiosi, ascoltare i sussurri e le voci degli abitanti, nascosti nelle soffitte, dietro quelle finestre sbarrate con le assi.Tutti noi l’abbiamo sempre immaginata, Innsmouth. Ma nel frattempo, la sensibilità dei suoi visitatori è cambiata, da quel timido studente di architettura, è mutata per quasi cento anni. Quindi poco importa che, ai fini della storia, Innsmouth di Vergnani sia un non-luogo che rievoca situazioni irreali, essa è Innsmouth tradotta ai giorni nostri, la stessa umida, tempestosa, che cela segreti dietro ogni ombra.Esemplare, in tal senso, è proprio la struttura della Gilman House, il medesimo albergo che ospitò lo studente e che ora, ricostruito fedelmente alla concezione di Lovecraft, gronda putrescenza da ogni tavola marcia del pavimento.
La struttura è uno specchietto per le allodole, dietro le finte camere coi lenzuoli cenciosi e la carta da parati umida e scrostata si celano modernissime suite accessoriate. Quasi fosse la doppia vista, quasi che il messaggio intrinseco sia: per credere, dovete voler credere.E a quel punto, se riuscite a credere a quello che leggete, la finta Gilman House sarà inquietante quanto la vera, quanto i boschi che circondano Innsmouth, quanto la scogliera lontana, dove un cast specializzato rievoca l’invocazione a Dagon.Eppure, in questo parco dei divertimenti dell’orrore, qualcosa di strano c’è per davvero… perché mai un professore universitario dovrebbe aver bisogno di un paio di guardie del corpo per una semplice gita a un parco giochi?A voi scoprirlo.Link Utili:
Lovecraft’s Innsmouth di Claudio Vergnani sul kindle store
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