… Ritroviamo i due personaggi come perplesse guardie del corpo di un professore – tal Franco Brandellini – in visita presso una specie di Disneyland lovecraftiana sulle coste del Massachusetts: una Innsmouth farlocca dove i turisti assistono a finti rituali e vagano sghembe comparse camuffate da uomini pesce. Possibile che sotto il velo della mascherata ci sia qualcosa di vero? O anche questo rientra nel gioco di specchi e di nebbia di una situazione continuamente cangiante, dove le certezze sembrano slittare come i piedi sull’umidore della costa?”
Questa è la stringata ma essenziale sinossi del romanzo “lovecraftiano” di Claudio Vergnani, uno degli autori horror italiani più in gamba tra quelli attualmente in attività.
Pubblicato dalla piccola Dunwich Edizioni, si caratterizza fin da subito come il classico must have dei lettori forti.
Vergnani si è fatto un nome – una fama – grazie alla trilogia del 18° Vampiro, di cui trovate le recensioni (anche a mia firma) semplicemente cercando su Google.
Di Claudio hanno colpito fin da subito l’ironia, spesso feroce, il disincanto, lo stile personale nell’interpretare un orrore che è in parte metafisico, in parte umano e in parte – per così dire – esistenziale.
I suoi due personaggi più riusciti – Claudio e Vergy – agiscono come le più riuscite coppie “action” dei film degli anni ’80 e ’90. Sono divertenti ma non inutilmente cazzoni (io odio i protagonisti nonsense, così come odio la bizarro fiction) e hanno talmente tanto spessore da riuscire ad aggirare i pur rari momenti fiacchi della trama.
In Lovecraft’s Innsmouth il dinamico duo torna, pur senza citare, se non molto, molto vagamente i trascorsi della trilogia vampiresca.
Questa volta Vergy e Claudio agiscono in territorio statunitense e si immergono in una sorta di attualizzazione metaletteraria dei Miti di Cthulhu. Sarebbe stato un esercizio comodo e di sicuro successo riprendere le storie di tali miti e trasformarle in “vere”. Invece Vergnani decide di giocare su un terreno più impervio, di metterci del suo, di reinterpretare Dagon e quella porzione della mitopeica lovecraftiana.
Il risultato? Ottimo.
Senza scimmiottare lo stile di HPL, che io trovo ancora oggi spettacolare, ma fin troppo imitato, Vergnani gioca col suo inconfondibile tratto, ricavando una storia (autoconclusiva) che si regge su un doppio trampolo: quello dei già citati protagonisti – in gran forma – e quello della trama, che riserva un bel po’ di sorprese nella parte finale.
In mezzo a tutto ciò trovate molte trovate azzeccate, dei comprimari convincenti, una storia d’amore non certo da paranormal romance, un bel po’ azione e molto divertimento.
Mi ripeto con la solita tiritera: se in Italia ci fossero più romanzi e racconti di Claudio Vergnani e meno porcherie scritte per seguire la moda del momento, l’horror nostrano vivrebbe un momento assai migliore e probabilmente attirerebbe molti lettori in più.
Considerate vostro dovere etico far pubblicità a Lovecraft’s Innsmouth, ma prima ovviamente compratelo e leggetelo.
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