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Lu Zangune del Salento leccese (Sonchus Oleraceus)

Da Antoniobruno5
Lu Zangune del Salento leccese (Sonchus Oleraceus) Lu Zangune del Salento leccese (Sonchus Oleraceus)
Il Crespigno “Lu Zangune” è una pianta della famiglia delle Composite.
Secondo lo storico e naturalista latino Plinio il Vecchio, un piatto del corroborante Sonchus Oleraceus nutrì il leggendario eroe greco Teseo prima che egli affrontasse il Minotauro, la creatura, in parte uomo e in parte toro, che viveva nel labirinto di Creta.
Per secoli, le foglie di questa pianta sono state bollite come gli spinaci oppure consumate crude nell’insalata invernale.
Tutte le specie del genere Sonchus sono originarie dell’Europa Mediterranea e dell’Africa, ma l’uomo le ha introdotte involontariamente anche in America e in Australia. Nel passato, si riteneva che le foglie di questa pianta fossero in grado di rianimare e restituire le forze a uomini e animali in preda all’arsura.
Nel caso della lepre, alla quale – chissà perché? – si attribuiva un carattere malinconico, la Sonchus Oleraceus era efficace anche per combattere “tristezza”.
Il botanico inglese del secolo XVII William Coles sosteneva che le scrofe, a motivo di “un certo loro istinto naturale”, sapessero che il lattice presente nel fusto di questa pianta incrementava la loro produzione di latte.
Lu Zangune del Salento leccese (Sonchus Oleraceus)
Descrizione
Pianta erbacea annuale alta circa 50 cm (Fam. Asteraceae). Le foglie sono di colore verde scuro, con margine dentato e irregolare (da cui il nome “crespa”) e nervatura più chiara, amplessicauli e disposte lungo un fusto ramificato e cavo, contenete un latice bianco.
I capolini sono piccoli e gialli, simili a quelli del cardo.
Raccolta o coltivazione
Tipica pianta alimurgica esclusivamente raccolta allo stato spontaneo, è facile da rinvenire nelle aree ruderali e incolte tanto della pianura che della collina, al punto da comportarsi da infestante, resa difficile da eliminare a causa della profonda radice a fittone.
Proprio l’ampia disponibilità e la facilità con cui la si incontra nelle zone facilmente frequentate dall’uomo (i dintorni delle fattorie, dei campi coltivati e dei pascoli, i margini dei sentieri) sono tratti comuni a quasi tutte le specie spontanee commestibili.
Usi
Oltre che cosmopolita in senso botanicoecologico, lo è anche in senso culinario dato che il suo uso in gastronomia include tutti i continenti. Alcune varietà e specie affini possono essere particolarmente spinose e non trovano quindi impiego alimentare, per il quale si privilegiano le foglioline giovani in quanto meno amare e meno coriacee di quelle adulte. È considerato un eccellente succedaneo della cicoria, sia fresco sia cotto. Le foglie vengono utilizzate crude in insalate, tipicamente durante il periodo invernale quando le piante da insalata a foglia coltivate sono ancora quiescenti o non germogliate. Più frequentemente trovano uso per preparare ripieni di crescioni, frittate e paste, oppure all’interno di minestre/misticanze cotte tradizionali assieme a numerose altre specie spontanee. La cottura è importante dal punto di vista sensoriale, in quanto aumenta la palatabilità riducendo il gusto amaro e migliorando la consistenza.
Oltre all’uso alimentare, le farmacopee popolari riportano anche usi fitoterapici nella riduzione delle infiammazioni intestinali o dell’iperacidità gastrica. In passato la radice veniva torrefatta per essere impiegata come surrogato del caffè.
Componenti principali
Salvo rare eccezioni (i fichi, il genere Lactuca, la papaya), le piante che contengono latice non sono commestibili a causa della presenza di alcaloidi o di sostanze irritanti. Anche nel caso del crespigno (Zangune) la presenza di latice non va a detrimento della sua edibilità, resa ostica solo dall’accumulo nelle foglie adulte di sesquiterpeni lattonici estremamente amari e simili a quelli prodotti dalla cicoria.
Lu Zangune del Salento leccese (Sonchus Oleraceus) Etimologia dei nomi italiani:
sonco: dal latino sonchu(m), a sua volta dal greco soncos o sonchos.
cicerbita: secondo alcuni dal latino cicer=cece, con riferimento alla forma dei suoi piccoli semi; secondo altri dal latino Cicharba, nome di una pianta, ricorrente isolato nel capitolo IV° del De medicamentis di Marcello Empirico (IV°-V° secolo d. C.), senza altra indicazione che consenta l’identificazione certa con la nostra.
Etimologia del nome scientifico: Sonchus dal latino sonchu(m), a sua volta dal greco soncos o sonchos; oleràceus significa erboso.
Etimologia del nome della famiglia: Compositae è il participio passato femminile plurale di compònere=comporre, formato da cum=insieme e pònere=porre; Asteraceae è forma aggettivale modellata sul classico aster=stella, con riferimento ai fiori a capolino.
Etimologia del nome dialettale: la stessa dell’italiano sonco, con aggiunta di un suffisso accrescitivo.
Testimonianze di due autori classici, il primo Plinio (latino), il secondo Discoride (greco)
Plinio (I° secolo d. C.): “Viene mangiato anche il sonco – sicché presso Callimaco Ecale lo mette sulla mensa per Teseo – , l’uno e l’altro, il bianco e il nero. Sarebbero entrambi simili alla lattuga se non fossero spinosi, col gambo lungo un braccio, pieno di angoli, all’interno vuoto, ma che emette se spezzato copioso latte. Il bianco, per il quale la bianchezza proviene dal latte, è utile a chi soffre di ortopnea messo come condimento nei cibi, al modo delle lattughe. Erasistrato afferma che con esso vengono eliminati i calcoli attraverso l’orina e che una volta mangiato elimina l’alito cattivo. Il succo nella misura di tre bicchieri riscaldato nel vino bianco e nell’olio facilita i parti così che subito dopo aver partorito la donna può camminare. Viene somministrato pure da bere. Lo stesso gambo cotto facilita nelle nutrici la produzione di latte e conferisce ai neonati un colorito migliore, è utilissimo alle donne che si sentono raddensare il latte. Il succo viene istillato nelle orecchie, caldo viene bevuto contro la stranguria nella misura di un bicchiere e in caso di ulcera allo stomaco insieme col seme del cocomero e con pinoli. Viene applicato pure negli ammassi [di grasso?] del sedere [cellulite?]. Viene bevuto contro il morso di serpenti e scorpioni, la radice viene applicata ad empiastro. La stessa cotta in olio e scorza di melagrana è presidio contro le malattie degli orecchi. Tutto questo vale per il sonco bianco. Cleemporo sconsiglia di mangiare il nero poiché fa male, non così per il bianco. Agatocle sostiene che il suo succo è efficace anche contro il sangue del toro [contro le ferite provocate dal toro?], tuttavia riconosce che il nero ha potere rinfrescante e che perciò va applicato con la polenta. Zenone consiglia la radice di quello bianco nella stranguria)”. “Riempie le mammelle di latte Il crescione col vin cotto, il brodo di sonco cotto nel farro” .
Dioscoride (I° secolo d. C.): De materia medica, II, 158 : “Il sonco: due sono le sue specie, una più selvatica e alquanto spinosa, l’altra più tenera e commestibile. Il gambo è angoloso, un po’ vuoto e subito dopo rosseggiante: le foglie sono tutte attorno ad intervalli regolari, frastagliate. Hanno proprietà rinfrescanti e moderatamente astringenti, per cui giovano applicate alle gastriti e alle infiammazioni. Il succo bevuto giova al bruciore di stomaco e stimola la produzione di latte. Posto poi in una pelle di pecora giova alle infiammazioni del sedere e della matrice. Tanto l’erba quanto la radice applicate in cataplasmo a turno sono un rimedio contro il morso degli scorpioni. L’altro sonco, pure lui tenero, diventa quasi un albero, con foglie larghe che abbracciano il gambo che non ha rami: pure questo ha gli stessi effetti”.

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