Contro il volere e le previsioni delle costellazioni, i Nomi costruiscono le loro storie per contatto, per un lento dialogo e procedere tra assenze/presenze.
Sono le prime riflessioni che mi vengono leggendo questo delicato romanzo di formazione di Luca Artioli in cui è costante la presenza di un tu, addirittura in funzione di musa, di interlocutrice necessaria a dar senso alle scoperte della vita e reindirizzando continuamente la parola al suo giusto dire. Perchè, dice Artioli, “ciò che accade è sempre necessario”, e “l’idea che serve non solo/ la memoria, ma la pienezza della/ pagina, su cui un giorno tornare”.
Così questo libro è anche diario, procedere verso qualche senso, nella costante presenza di Enti universali, “il segno premonitore, lo scorpione,/e al dito l’anello, inciso/ nel suo passaggio zodiacale”, che delimitano precisamente il campo dei loro poteri.
Artioli lavora anche alla ricerca di una quiete, un quieto stare conforme a una qualche armonia delle forme: “L’edicola del parco e poi/ le gambe portate nel verde, dove la materia delle cose tutte/ si ricompone viva, in piena luce”.
E infine pensa alla parola come “onesta poesia”, luce sfavillante di luce fioca, sempre in attesa che la maschera del mondo venga sottratta e sotterrata.
La foglia attraversa lo spazio della pagina, sul “volto gli appunti e le/parole da mesi raccolti/ dentro un quaderno”.
Dialoghi di come si fa a crescere, di come proseguire oltre. Qualcosa, qualcuno avanza verso la casa: un luogo dove stare. Serve equilibrio a questa scrittura, e calma, se non fosse che, dopo un viaggio, la vita incede, chiede resoconti, vuole notizie finali di partita. Le poesie più tese si trovano, infatti, dopo un viaggio, un “passaggio a nord ovest”…
Sebastiano Aglieco
***
Figlia di un altro decennio
Non sei stata, ancora
del tempo lo sperato accadimento,
né forse questo luogo
- questa eco di rimando -
potrà mai essere la casa,
il palmo sicuro che ti porta
a me, figlia di un altro decennio,
con la poesia creduta sonoro
tonfo di cascata, per le generazioni
per le molte vie che verranno.
Per il loro sconosciuto infinire.
***
L’alfabeto lunare
Me l’hai scritto così
che “non sei più sola”,
come si fa con i bambini:
la verità detta sottovoce
bianca, bianchissima
- prima del sonno -
nel suo alfabeto lunare,
perché sia senza gravità
al di là di te, della tua bocca
della tua intenzione perfino.
Al di là, più oltre.
***
Chirologia
Sai, non mente questa mia mano d’acqua
sulle linee, sulla traccia del palmo
il tempo resta, si accomoda per segni
come lo strato minerale, il sedimento
di un’era planetaria già impressa
per codici sulla roccia e che nella roccia
insiste, con le sue trame in rovina
i suoi precordi, le sue infinite cellule
fino ad essere di noi storia umana,
l’indelebile pedaggio da versare.
***
Delle fonti
Siedi così, come aspettare piano
(le pupille lucide pietre
di collana) dove il ghiareto
prende pausa e gli scalini salgono
- da sponda a sponda – e
contengono la tua domanda,
il vento che preme perdutamente
senza revoca, nell’enigma.
Eppure io, ogni cosa nel sogno
vorrei spiegarti, dire oltre
lo smarrito orientamento,
ma questa mia solitudine, questo rumore
bianco che cerchi nelle assenze
è soltanto un luogo voluto e intoccato,
il punto di riferimento e di partenza
delle fonti, l’oscura rincorsa alla luce.
***
E siamo stati come case
Si dovrebbe, a volte
far finta di niente,
dire che non è stato
(che mai potrebbe),
ma poi dimentico
di dimenticare e tu
riappari nel corridoio
nella sera d’albergo:
quel tenersi un poco
la mano come a non
volerci soli per il troppo
chiedere al tempo,
il troppo disabitare.