Luca Martini “Le mani in faccia”, 2010, Voras Edizioni – recensione di Denis Cantelli
L’anno scorso mi è capitato di trovare una recensione di Francesca Zucchero sul sito, parlava con trasporto ed emozione di un libro di un autore non conosciuto, “La geometria degli inganni”, di Luca Martini. Mi ha incuriosito, l’ho comperato e l’ho letto, e sono rimasto piacevolmente sorpreso dal testo che Francesca proponeva, ritrovando buona parte delle cose da lei scritte con tanta passione e sensibilità.
Così, una settimana fa, vagando per gli scaffali bassi di una libreria di un centro commerciale (io non so voi, ma sono sempre attratto dai libri che non sono in mostra….) ho trovato una copertina rossa, ancora Luca Martini, questa volta con un romanzo, appena uscito sempre per il piccolo editore di Ravenna “Voras”.
Il libro si chiama “Le mani in faccia”, e ha un duplice significato, una doppia veste: quella che nasconde il volto, che ripara il viso dal dolore e da quanto non vogliamo riconoscere, e quella aggressiva, di una vita condotta all’eccesso, indurita dalle sconfitte, che si realizza in un gesto disperato d’offesa.
È un po’ questo il primo messaggio che si coglie leggendo questo bel romanzo, e lo si capisce non solo dalla struttura, suddivisa in due parti, “Le mani”, appunto, e “La faccia”, a sancire una dicotomia nella vita del protagonista, ma anche dal tono della narrazione, che parte leggera, si indurisce con l’accumularsi delle pagine e diventa più amara e sfacciata con l’approssimarsi alla fine e con il tempo che trascorre.
Si raccontano trent’anni di vita di un uomo, Claudio Pedretti, attraverso la narrazione della storia “straordinaria di un antieroe della porta accanto”, come ricorda giustamente la quarta di copertina del libro. “Straordinaria” perché riassume in meno di 140 pagine una serie di eventi che segnano profondamente l’esistenza del protagonista dai quindici ai quarantacinque anni, la “vita di un antieroe della porta accanto”, perché Claudio Pedretti è uno di noi, o, nella migliore delle ipotesi, il nostro vicino di casa, uno che nasce in una famiglia normale, non voluto dal padre, con una madre che disprezza e una vita come tante, costellata di avvenimenti comuni e traumatici al contempo: un matrimonio fallito, un figlio non desiderato, una nuova compagna con la quale le cose non funzionano più, passando attraverso l’esperienza della droga e la tentazione del gioco d’azzardo (un capitolo, per me, perfetto, in cui il lettore, al termine dello stesso, rimane in bilico, indotto a crearsi una sua soluzione che non viene svelata con certezza da Martini).
Una storia incalzante, scritta a ritmi a tratti vorticosi e a volte poetici, suddivisa in quattordici capitoli che sembrano quasi autonomi tra loro e che, se letti dall’inizio alla fine, ci lasciano una storia che fa rimanere senza fiato. Durante la lettura si sorride, ci si commuove, si riflette, si soffre, si spera, trovandosi sempre all’interno degli spazi narrati, in uno steccato che gode di un punto di osservazione privilegiato, come se l’autore riuscisse attraverso le sue parole a farci toccare le cose, a mostrarci i volti, come se fosse possibile attraverso le pagine scritte sfiorare le mani di chi vive nella storia.
Martini riesce a dare voce alla solitudine di un uomo che cerca di continuo una rivalsa, e lo fa raccontando le sue ossessioni, i suoi errori, le proprie pulsioni ancestrali, narrando la storia benissimo, anche da punti di vista diversi, tratteggiando i personaggi con uno sguardo esatto, talvolta freddo e distaccato, altre volte umano e compassionevole, mai banale.
Ci si riconosce in questa scrittura, nella psicologia dei personaggi, nei gesti precisi e taglienti dei protagonisti, negli sguardi e nei silenzi, nelle mani e nell’indifferenza di uno sconfitto che pare lo specchio di una società alla quale anche io mi sento di appartenere.
Ci sono momenti di desolazione di una bellezza assoluta:
“Lei girò la sedia verso di me, poggiando la mano sul termosifone per trovare un appiglio di sicurezza. Poi alzò la testa con un
movimento lento e innaturale, come se pesasse duecento chili.
Chiuse gli occhi e si portò le mani in faccia. E così restò senza dire nulla per un sacco di tempo.
«Mamma, cos’hai?»
Rimase immobile, cristallizzata in quella medesima posizione,
come una statua monca. Era tutta intera, in realtà, ma io sapevo
che in quell’istante le mancava il cuore”.
Un antieroe della porta accanto, si diceva, un personaggio che è il solo responsabile del proprio destino, al tempo stesso vittima e carnefice della propria esistenza, condannato a ripetere gli stessi errori (la chiave di tutto sembra essere il rapporto irrisolto con il padre, che Claudio trasmetterà anche al figlio Alfredo, come una malattia infettiva che non è in grado di debellare e con la quale, ci si immagina, continuerà a fare i conti per sempre).
Sono bellissime le atmosfere che si respirano tra queste pagine, e Luca Martini si conferma un ottimo scrittore, capace di dare voce alle inquietudini generazionali del mondo d’oggi, con talento e abilità.
C’è una Bologna distratta nel libro, una città stanca e dimenticata, che alla fine, però, viene amata come poche città lo sono nei libri di oggi. Allo stesso tempo i protagonisti sono messi a nudo, spogliati delle proprie inibizioni, a volte derisi, altre, invece, guardati con ammirazione e commozione. Alla fine, però, lo sguardo pietoso dell’autore cerca sempre di rivestire i loro corpi, come se provasse un pizzico di pudore nel mostrare a tutti la loro miseria.
Un bel romanzo, questo, di un autore che, non c’è che dire, sa scrivere, e alla grande.
Dalla quarta di copertina:
“Quando esco dalla camera so che mancano solo due minuti alla
fine di tutto e il pensiero un po’ mi conforta.
Mi sento come se fosse mancata la luce, non perché c’è un guasto o perché non ho pagato la bolletta, no, soltanto perché si è
fulminata la lampadina e io non ho un ricambio perché di quel
passo non le fanno più.
Mi manca la luce.”.
Credo che Martini, forse, quella luce ce la renda, almeno per 140 pagine.