Coldiretti, commentando proprio questa recente notizia, sostiene che in Italia ci sia “mancanza di trasparenza nel commercio dei prodotti agroalimentari per i quali non è ancora prevista una capillare tracciabilità con la presenza dell’indicazione di provenienza sulle etichette”. È d’accordo? Luca Ponzi: Non è certo la prima operazione del genere, e la richiesta di Coldiretti non è nuova. Quando ho scritto cibo criminale con Mara Monti il dubbio era “perché lo facciamo? Stiamo sputtanando il Paese. L’abbiamo detto sin dalla prima presentazione, in tutte le sedi e anche all’Expo: è un’operazione fatta per portare attenzione su un tema importante, tenendo presente che il cibo italiano, oltre che il più buono, è il più controllato al mondo. Ma questo non basta, ci sono due problemi. Il primo: come tutte le realtà economiche in cui si muovono grandi quantità di denaro c’è il rischio dell’infiltrazione della malavita, perché dove si muove denaro chiaramente, chi vuole arricchirsi aggirando le regole trova i soldi, la materia prima. Il secondo è il nostro limitato peso politico in Europa, per cui il cibo italiano è controllato, ma tutto sommato non punta sulla quantità. Le nostre eccellenze e industrie alimentari sono piccole: la Barilla, la più grande, è piccola rispetto per esempio a Nestlè e Unilever, la nostra attività di lobbying è limitata: cosa può fare il Consorzio del pecorino rispetto a multinazionali con un giro di miliardi di euro? C’è il rischio che le politiche europee siano più orientate all’attività di lobbying verso multinazionali. Paghiamo lo scotto di debolezza politica che non è imputabile a un singolo partito ma al sistema Paese e al fatto che spesso la politica europea sia fatta guardando a diatribe interne riportando la contrapposizione destra-sinistra che c’è in Italia e perdendo di vista l’interesse del paese come entità unica. Altri paesi sono più autorevoli perché più uniti.
Magazine Società
Luca ponzi su italian sounding: “ecco i rischi che corre il made in italy”
Creato il 16 febbraio 2016 da Ambrogio Ponzi @lucecolore
“In Italia non si fanno scelte di sistema”. E questo, nell’analisi di Luca Ponzi, vale anche di più dei poderosi numeri prodotti dal sistema agromafia e dalla persistenza del fenomenoItalian sounding. Il giornalista Rai, autore insieme alla collega del Sole 24 ore Mara Monti di “Cibo criminale”, una rassegna di casi giudiziari nel settore truffe alimentari, a due anni dall’uscita del fortunato volume ha allentato i cordoni della ricerca nel settore, ma mantiene le convinzioni allora maturate: “Come dico a chi mi chiede soluzioni, soprattutto giovani: ragazzi, la lotta non la devo fare io. Io posso dire qualcosa, il mio compito è fare in modo che si sappia. Ma bisogna costruire insieme”. E oggi, aggiungerebbe volentieri, in Italia è difficile. Oggi la cronaca racconta dello smantellamento di un’organizzazione camorristica che spadroneggiava nell’agroalimentare romano, mentre l’Italian sounding (l’ultimo è un sequestro di falso vino italiano nel nord Europa) continua a regalare casi e nuove tipologie di truffa.
Coldiretti, commentando proprio questa recente notizia, sostiene che in Italia ci sia “mancanza di trasparenza nel commercio dei prodotti agroalimentari per i quali non è ancora prevista una capillare tracciabilità con la presenza dell’indicazione di provenienza sulle etichette”. È d’accordo? Luca Ponzi: Non è certo la prima operazione del genere, e la richiesta di Coldiretti non è nuova. Quando ho scritto cibo criminale con Mara Monti il dubbio era “perché lo facciamo? Stiamo sputtanando il Paese. L’abbiamo detto sin dalla prima presentazione, in tutte le sedi e anche all’Expo: è un’operazione fatta per portare attenzione su un tema importante, tenendo presente che il cibo italiano, oltre che il più buono, è il più controllato al mondo. Ma questo non basta, ci sono due problemi. Il primo: come tutte le realtà economiche in cui si muovono grandi quantità di denaro c’è il rischio dell’infiltrazione della malavita, perché dove si muove denaro chiaramente, chi vuole arricchirsi aggirando le regole trova i soldi, la materia prima. Il secondo è il nostro limitato peso politico in Europa, per cui il cibo italiano è controllato, ma tutto sommato non punta sulla quantità. Le nostre eccellenze e industrie alimentari sono piccole: la Barilla, la più grande, è piccola rispetto per esempio a Nestlè e Unilever, la nostra attività di lobbying è limitata: cosa può fare il Consorzio del pecorino rispetto a multinazionali con un giro di miliardi di euro? C’è il rischio che le politiche europee siano più orientate all’attività di lobbying verso multinazionali. Paghiamo lo scotto di debolezza politica che non è imputabile a un singolo partito ma al sistema Paese e al fatto che spesso la politica europea sia fatta guardando a diatribe interne riportando la contrapposizione destra-sinistra che c’è in Italia e perdendo di vista l’interesse del paese come entità unica. Altri paesi sono più autorevoli perché più uniti.
Coldiretti, commentando proprio questa recente notizia, sostiene che in Italia ci sia “mancanza di trasparenza nel commercio dei prodotti agroalimentari per i quali non è ancora prevista una capillare tracciabilità con la presenza dell’indicazione di provenienza sulle etichette”. È d’accordo? Luca Ponzi: Non è certo la prima operazione del genere, e la richiesta di Coldiretti non è nuova. Quando ho scritto cibo criminale con Mara Monti il dubbio era “perché lo facciamo? Stiamo sputtanando il Paese. L’abbiamo detto sin dalla prima presentazione, in tutte le sedi e anche all’Expo: è un’operazione fatta per portare attenzione su un tema importante, tenendo presente che il cibo italiano, oltre che il più buono, è il più controllato al mondo. Ma questo non basta, ci sono due problemi. Il primo: come tutte le realtà economiche in cui si muovono grandi quantità di denaro c’è il rischio dell’infiltrazione della malavita, perché dove si muove denaro chiaramente, chi vuole arricchirsi aggirando le regole trova i soldi, la materia prima. Il secondo è il nostro limitato peso politico in Europa, per cui il cibo italiano è controllato, ma tutto sommato non punta sulla quantità. Le nostre eccellenze e industrie alimentari sono piccole: la Barilla, la più grande, è piccola rispetto per esempio a Nestlè e Unilever, la nostra attività di lobbying è limitata: cosa può fare il Consorzio del pecorino rispetto a multinazionali con un giro di miliardi di euro? C’è il rischio che le politiche europee siano più orientate all’attività di lobbying verso multinazionali. Paghiamo lo scotto di debolezza politica che non è imputabile a un singolo partito ma al sistema Paese e al fatto che spesso la politica europea sia fatta guardando a diatribe interne riportando la contrapposizione destra-sinistra che c’è in Italia e perdendo di vista l’interesse del paese come entità unica. Altri paesi sono più autorevoli perché più uniti.
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