Magazine Cultura
Ammetto che è un po' che sul blog non parlo di nuove uscite in campo musicale. In realtà non l'ho mai fatto molto, ma certe volte la voglia è così forte che non posso fare a meno di inviare nella blogosfera qualche mia impressione.
Anche se non sono un tale esperto-critico-musicale-pompato-montato-sborone-assolutamente-cagacazzi (in puro stile Metal Hammer), fatemi cominciare spacciandomi come tale.
Oggi parlerò di Ascending to Infinity, prima uscita dei Luca Turilli's Rhapsody, progetto nato nell'agosto 2011 a seguito della separazione dei due leader storici, e maggiori compositori, dei Rhapsody of Fire (una delle band italiane in ambito metal più famose a livello mondiale). La band si divise a metà: i Luca Turilli's Rhapsody e i Rhapsody of Fire.
Tornando indietro di qualche mese da ora, ricordo di come la presentazione di AtI fosse stata magnificente, pomposa e fin troppo a la kolossal, quasi che fosse l'evento del secolo. E non nascondo il fatto che ero sinceramente incuriosito a proposito della musica che il caro Luca Turilli ci avrebbe proposto.
Man mano che i mesi passavano cominciavo a convincermi che l'album sarebbe stato solo un semplice lavoro dei Rhapsody of Fire sotto falso nome, un riciclo continuo delle scale neoclassiche suonate ai 300 bpm che ci hanno tanto deliziato per tutta la discografia dei nostri bardi.
Sì, sono qui per dire che mi sbagliavo. Nel senso che oltre al sound tipico dei RoF il buon Turilli ha inserito parti (in alcuni casi tali e quali) appartenenti al suo progetto solista (Luca Turilli, per l'appunto) e ai, squillo di trombe, Luca Turilli's Dreamquest (manco un nome senza il suo nome riesce a trovare). Poi non mi si venga a dire che non si è montato un po' troppo la testa durante questi anni, tramutandosi nell'idolo dei nerd musicali sempre e solo attenti alla tecnica strumentale dei musicisti (vedi anche John Petrucci e Steve Vai giusto per fare un paio di esempi).
Pur trattandosi di un ottimo lavoro dal punto di vista musicale, il mixaggio è davvero ottimo e ogni suono si distingue alla perfezione, per quanto riguarda la composizione dei brani non vedo grandi novità. Ma questo l'ho già detto.
Posso solo dire che in alcuni brani mancherebbe solo la voce di Fabio Lione (cantante dei RoF) per convincermi del fatto che lo scioglimento non abbia mai avuto luogo. I riff sono praticamente sempre gli stessi (e questo avveniva già negli ultimi lavori dei RoF), i cambi di tempo pure, le parti vocali e orchestrali anche (tranne qualche piccola eccezione). L'unica canzone a emergere da questo minestrone di power-progressive-with-an-orchestra-I-splat-su-guitar metal è senza dubbio Dante's Inferno, una canzone dall'incedere quasi ipnotico che, pur presentando sempre le stesse melodie, esplode in un buon ritornello. Piccola menzione anche per la lunga suite finale.
Non fraintendetemi! Si tratta di un buon lavoro dal punto di vista oggettivo, solo che non giustifica uno scioglimento dal gruppo precedente «per seguire strade diverse dal punto di vista compositivo e delle liriche». A questo punto spero con tutto il cuore che, a differenza del Turilli, i RoF ci consegnino il prima possibile un lavoro davvero nuovo facente le veci di una ventata d'aria fresca in un genere che ormai puzza di vecchio più delle ascelle di Eric Adams (quelle sì che sono true metal of steel) dopo due ore di concerto presso un Gods of Metal a caso. In questo caso, forse, riuscirò a rivalutare il lavoro di Turilli.
So già cosa state pensando: «Eh, non dirmi che sei uno di quei puristi sboroni che ascoltano solo gruppi che sanno rinnovarsi ogni canzone che compongono». Certo che non lo sono, e vado anche matto per molti gruppi che durante la loro fin troppo fruttuosa carriera non hanno fatto altro che proporci i soliti due accordi in croce (vedi Manowar). Ma di certo nessuno di loro si è mai sognato di formare nuovi progetti con cui avrebbe proposto sempre la solita solfa.
E siamo arrivati alla fine.
Nonostante tutto quello che ho scritto, quest'album lo consiglio ai patiti del genere e anche alle nuove leve. In fin dei conti, e come ho già sottolineato, si tratta di un buon lavoro. Le orchestrazioni sono ottime, molto d'atmosfera, e l'intero lavoro scorre via liscio come l'olio.
Bravo Luca, ma questo disco potevi tranquillamente intitolarlo Niente di nuovo sul fronte occidentale.
A presto!
E.
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