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Lucasdesign e la “personale” di Giacomo Cuttone

Creato il 15 luglio 2013 da Www.marsala.it @@il_volatore

di Antonino Contiliano 

Lucasdesign e la “personale” di Giacomo Cuttone
Nello spazio showroom di “Lucasdesign” (Mazara del Vallo, Corso Umberto I 47), grazie alla sensibilità degli architetti Rosaria Messina e Paolo Lunetto, dal 5 al 21  luglio 2013, si può visitare una personale del pittore Giacomo Cuttone. L’inaugurazione è avvenuta la sera del 5 luglio corrente. In questa nuova, temporalmente, esposizione c’è unanota inaspettata che va sottolineata. Non riguarda certamente la presentazione di un nuovo ciclo tematico nel linguaggio del pittore Cuttone. Le opere sono già “edite”, e le conosciamo.

Ma il “datato” qui (per intendersi) non vuol stare a dire una sottrazione di valore. Le opere che hanno preso corpo, autonomia e indipendenza dalla mano dell’artista, quando interagiscono con la realtà in divenire, i suoi soggetti, i linguaggi e gli ordini simbolici in corso, come è nel caso del nostro pittore, aumentano solo di complessità e ricchezza di lettura. Aumentano di valore interpretativo. Vediamo e leggiamo quanto ci è presentato addensato nell’intreccio realizzato con gli occhi e il pensiero del presente. Sono sempre nuove: il loro campo di significanza apre il ventaglio per altre incursioni semantiche e interpretative. Se poi, come in questo caso, le opere, pur provvisoriamente, debbono condividere lo spazio con produzioni di altro taglio e finalità, allora il contesto non può che far alzare il livello delle differenziazioni qualitative.

Ma torniamo all’inaspettato.

Un inaspettato, di questa personale di Cuttone – artista ormai noto oltre gli ambiti strettamente territoriali (ricordiamo che la sua ultima personale di grafica è avvenuta a Roma (2012) nei locali del “Lavatoio Contumaciale” diretto dall’artistaepoeta Tommaso Binga) –, è nel fatto che questa ennesima esposizione inaugurale (curata, questa volta, da una attenta puntualizzazione di Gianni Di Matteo), è stata inserita all’interno del “Lucasdesign”. L’ambiente showroom mazareseche proponeal pubblico oggetti d’uso che nulla dovrebbero avere a che mescolarsi con opere di altra estetica artistica.

Sono gli oggetti di vario tipo e utilità quotidiana (lampade, sedie, poltroncine, cucine, librerie, lampadari...) che, tuttavia, come ha sottolineato Gianni Di Matteo, nonostante la serialità e la finalità commerciale, sono lavorati artisticamente. Se, pertanto, c’è una forma estetica – che gratifica il “gusto” e ne rende desiderabile il possesso e il maneggio – non è certo cosa cui rinunciare (tralasciamo, in questa sede, naturalmente le leggi del valore di scambio  e l’omologazione del gusto cui tende il mercato e la legge del profitto con l’avanzare del disegno industriale). Ci si riferisce, precisamente, a quel disegno artistico   che – ricordava Gianni Di Matteo – ha avuto la sua prima scuola  nella sperimentazione “Bauhaus” e il suo battesimo ad opera di ”Walter Gropius con un manipolo di architetti, artisti pittori e scultori decisi a superare gli steccati disciplinari. Da quella esperienza è nato quel nuovo tipo di operatore estetico che è il designer”.

Un altro aspetto insolito, notava sempre Gianni Di Matteo, nella sala affollata da un pubblico attento e interessato, è la frammentazione dell’espressione verbale scritta – “I-SOLI-TUDINE. Fra le isole” – cui il pittore Cuttone affida i sensi di questa sua personale. Quasi – ricordava Di Matteo – una presenza della tecnica heideggeriana di ricostruzione ri-compositiva delle parole e, quindi, un esplicito invito rivolto ai possibili interlocutori per spingerli a nuovi potenziali significati emergenti e contestualizzati possibili.

Ma, chi scrive, approfittando della finestra aperta, ricordava che l’opera del pittore Giacomo Cuttone, come precisa Jacques Lacan (L’etica della psicoanalisi), è quella di un artista che confligge con lecontraddizioni del suo tempo e opera in contro-tendenza: “Il rapporto dell’artista col tempo in cui si manifesta è sempre contraddittorio. È [...] sempre controcorrente che l’arte cerca di operare il suo miracolo” (J. Lacan).

Così, sinteticamente (qui non si può percorrere l’intero cammino e le varie fasi dell’artista), si può dire che il nostro pittore ha sempre cercato una forma capace di scavare e demistificare ciò che il dettato sociale, culturale e ideo-logico del presente ha dato come “valore” permesso, e proposto un altrimenti possibile come un singolare modo di significazione pittorico. È il “miracolo” significato da Lacan. Il miracolo cioè della forma che rende corporea l’idea lavorando i materiali in gioco –verbali, grafici, pittorici, etc. – e al fine di renderne visibile il dissenso e leggibile, “tra le righe”, la mistificazione omologante della “chiacchera” e delle formattazioni quotidiane. Quella chiacchera, di cui Heidegger si è occupato come dimensione della banalità e inautenticità della vita sociale, ma che oggi è diventata cinica stereotipia anestetizzante il pensiero e la riflessione critica ad uso e consumo della forza produttiva dell’industria immateriale postfordista e del profitto capitalistico (vedi le nuove industrie elettroniche di Web 1.0 e Web 2.0, ovvero dell’informazione o dei network sociali digitalmercificati...).

Certamente Heidegger, come lo stesso Marx, non potevano prevedere che le forze produttive dell’industria (quelle della terza rivoluzione) si impadronissero dell’immateriale, del simbolico, dei segni, delle parole e del loro carico seduttivo per sfruttarle capitalisticamente “ossificandone” (feticizzando) la comunicazione sull’informazione formatta del digitale.

Per cui frammentare le parole, seppure preposte espressivamente a semantizzare una personale di pittura – una personale che presenta le “isole” come “soli” o sistemi di relazioni dinamici e di interazione tra parole e pittura, piuttosto che “isolamenti” – è essere confliggenti col tempo delle “stereotipie” linguistiche. La rigidità cioè della stupidità coltivata ad hoc con la logica delle seduzioni emozional-estetizzanti, e tanto care al mercato della politica d’accatto o alle multinazionali dei signori dell’informazione, non esclusi quelli che si occupano del mercato dell’arte e delle mostre-evento...

Se il chiacchericcio delle stereotipie può allora essere combattuto, seppure a livello di circuiti circoscritti, con la scomposizione delle parole e la bellezza informativa antagonista dei “segni”, lavorati artisticamente, allora possiamo esclamare: salut! Salut ai poeti e agli artisti di controtendenza. In fondo, quando si arriva al fondo, come qualcuno ha detto, c’è sempre da raschiare il fondo, stappando così dalla memoria dei segni e dell’ordine simbolico signific-azioni di rottura e nuove rotte. E, in questo caso, allora, non è più credibile negare all’arte e alla poesia “l’utilità”, l’utilitàcioè come valore d’uso conflittuale e oppositivo al sistema-mondo.

 


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