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Lucciole dalla sera al mattino

Creato il 10 luglio 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

Lucciole dalla sera al mattino

Mezzo nudo

Non pensare che sia scomparso.
Ieri andavo per la mia strada, mezzo nudo,
quattro stracci addosso. Volevo
provare ad incontrare una donna
che mi amasse alla prima occhiata.
Ho rimediato una sigaretta e pochi spicci:
non ne ho fatto un dramma,
però sentivo un gran freddo
che mi penetrava nelle ossa.
Qualcuno manifestava in piazza:
hanno cercato di tirarmi dentro per riscaldarmi,
ma io ho scosso la testa e ho starnutito un saluto
alzando la mano sinistra.
Tutti hanno risposto al saluto con un sorriso;
poi sono andati oltre
con la loro falce e martello.
Io ho continuato per la mia strada;
ho notato che i marciapiedi sono tenuti male,
pieni di vetri velenosi, di siringhe, di stronzi.
Sono passato davanti a una chiesa,
davanti a una di quelle alte alte,
molto simile a una cattedrale parigina,
e ho avuto una vertigine
che per poco non m’ha sbattuto a terra
come una polpetta. Mi sono ripreso,
dopo aver bevuto acqua ghiacciata
da una fontanella pubblica. Per questo motivo
ho deciso di riprendere i miei vestiti di sempre.
E al mattino il giornale, le notizie, la nera
e un caffè caldo, e la casa tutta per me,
tutta da pulire – piena di ragnatele, di vecchi libri.


Per un funerale

Ti vorrei baciare ancora una volta
per farti del male come tu l’hai fatto a me.
Ti vorrei strappare quei vestiti di dosso
per farti capire che sono ancora innamorato di te.
Ti vorrei portare in bocca
come una preghiera e una bestemmia
per ricordarti che la tua bocca
una volta ha incontrata la mia
con piena dolcezza.
Ti vorrei far vedere tutti i fiori
che sono qui sul mio davanzale di freddo marmo
e che non ricevono più una sola goccia d’acqua
da quando mi hai lasciato: ci sono solo salse lacrime
a infiltrarsi nella terra fino alle loro radici.
Di questo passo temo che moriranno del tutto,
resteranno forse rigidi steli sotto il capriccio del vento
di questo autunno di brune foglie che non finisce mai.
Ricordi quando siamo andati al cimitero
ad incontrare quel mio amico che nelle notti insonni
veniva a tenerci compagnia? Ti raccontavo di lui
e di quante ne aveva passate, di come il destino
gli aveva strappato via le ali per volare. Tu spremevi
una lacrima, poi m’abbracciavi stretto stretto al tuo seno
quasi temessi che potessi perdermi in meno d’un momento.

Ed eccoti qui, mentre ti confesso tutto, senza ritegno.
E tu solo ti strappi in un sorriso di disprezzo. E le mie labbra
frementi, morse dai tuoi denti, sanguinano un mare di sale.
Sei vera? O sei allucinazione? Mi sto facendo del male,
o sei tu che con il tuo odio di oggi me ne fai?
Ti vorrei strappare alla vita e alla morte
per farti capire che sono ancora innamorato di te.
Anche se qui fa freddo e la mia carne è stata quasi
del tutto mangiata dal tempo e dai vermi.

Morte annunciata

Quando la mia donna morì
noi tutti lo sapevamo che sarebbe successo,
ma non facemmo un gran fracasso
- quasi tutti in silenzio o lontani
come in incubo senza senso,
come in un amore durato troppo a lungo.
Il mio più vecchio e odiato amico
mi raccomandò di scriverci su un libro:
mi batteva la mano sulla spalla e rideva piano
aggiustando la bocca in una mezza smorfia.
Io rimanevo davanti a lui, di sasso,
e non osavo dirgli che non avrei messo
mano alla penna. Mi offrì un caffè al bar di sotto:
me ne feci fare uno di quelli forti, però l’addolcii
con una bella dose di panna bianca. Poi ci salutammo,
lui mi promise che m’avrebbe telefonato:
non lo fece mai. Da quel giorno non seppi più niente.
Quando si fu fatto una sua famiglia,
moglie e due bambini, alcuni anni dopo,
venni a saperlo per puro caso:
era un uomo felice, non ricco ma felice,
perlomeno così si espresse il barista
con gl’occhi ancora fatti di sonno.


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