Sono passati ben 39 anni da quando il Cinema Italiano ha perso uno dei suoi grandi interpreti, uno dei più grandi registi: Luchino Visconti. Il Maestro milanese è ricordato come uno dei fautori dell’avvento del Neorealismo in Italia, anche se non ebbe rapporti diretti con il movimento culturale nato anche grazie a De Sica e Zavattini. Però grazie alle sue idee narrative, al suo modo di raccontare (almeno nella prima parte della sua carriera) e al suo stile asciutto e senza “ghirigori” viene considerato come uno dei padri fondatori del Neorealismo.
Artista a tutto tondo, Visconti regalò perle non solo al Cinema ma fu anche un grande regista e sceneggiatore teatrale, famoso per mettere in scena alcune delle opere letterarie più celebri come “Morte di un commesso viaggiatore” di Miller o “La locandiera” di Goldoni.
Grazie alle sue origini aristocratiche possedeva una cultura immensa, ma soprattutto fu un uomo di grande talento cimentandosi in diversi campi come la musica (studiò per anni il violoncello con buoni risultati) e l’ippica (guidò una scuderia che vinse il Gran Premio di Milano San Siro). Al Cinema si avvicina quando soggiornò in Francia nel 1936 soprattutto grazie alla sua compagna di allora Coco Chanel, che gli presentò il regista Jean Renoir, futuro Maestro della Nouvelle Vague. Qui alle dipendenze di Renoir divenne prima responsabile per i costumi e poi assistente alla regia, lavorando a diverse pellicole come “Les basfonds” e di “Une partie de campagne”. Lo stile realista di Renoir rimarrà sempre nella poetica di Visconti che lo porterà intatto nei suoi primi lungometraggi per poi modificarlo successivamente ed infine abbandonarlo. Ad influenzare inoltre lo stile di Visconti fu la politica, infatti quando ritornò in Italia conobbe l’allora illegale Partito Comunista grazie a degli intellettuali che lavoravano alla rivista “Cinema”, scoprendo una nuova concezione di fare film. Nel Dopoguerra si respirava un’aria nuova, Rossellini e De Sica abbracciarono questa aria fresca traducendola in immagini. Abbandonate le fortunate ma troppo iperglicemiche commedie cosiddette dei “telefoni bianchi”, si iniziò a fare un nuovo Cinema: partendo dalla concezione di attore-uomo di Visconti, fino alla “teoria del pedinamento” di Zavattini. Il primo film considerato “neorealista” (aggettivo dato dal montatore Mario Serandrei dopo aver visionato l’opera finita) fu proprio il primo film di Luchino Visconti “Ossessione” del 1945, ispirato dal romanzo di James Cain “Il Postino suona sempre due volte”.
Visconti non ottenne i diritti del libro e per questo il titolo non compare nel film, motivo per il quale non fu distribuito negli Stati Uniti fino agli anni 70, ma soprattutto perchè la Metro Goldwyn Mayer progettava contemporaneamente la realizzazione del film “ufficiale” ispirato dal romanzo. Come successe per Murnau con “Nosferatu” anche Visconti dovette salvare una copia clandestina del suo film a causa del Fascismo che dapprima permise il rilascio della pellicola per poi intimarne la distruzione per alcuni stupidi,ottusi e insensati pareri delle autorità ecclesiastiche.
Un nomade abituato a girovagare da paese a paese in cerca di lavoro si ferma in uno sperduto piccolo borgo nella bassa pianura padana. Qui Gino Costa (questo il nome del vagabondo interpretato da Massimo Girotti) consuma un pranzo nella trattoria del posto ma non può pagare perchè non ha soldi con se. Il proprietario per farsi risarcire lo assume come meccanico dopo averlo visto in azione. Tutta la storia cambia appena Gino conosce Giovanna (la bella Clara Calamai), la moglie di Giuseppe Bragana (Juan de Landa), il rozzo proprietario della trattoria. Tra i due scatta un amore passionale ma illegale. Gino ormai perdutamente innamorato di Giovanna le chiede di scappare con lui, ma lei più per la morale che per amore rifiuta di seguirlo. Il vagabondo allora per dimenticarsi tutto alle spalle riparte l’indomani mattina per Ancona, conoscendo un altro girovago come lui dal soprannome “lo spagnolo” (Elio Marcuzzo). Insieme trovano lavoro in una fiera di paese dove per caso Gino incontra nuovamente Giovanna. Tutti i sentimenti creduti spariti riaffiorano e i due questa volta decidono di rimanere insieme, ma c’è un ostacolo al loro amore: il marito di Giovanna. I due amanti prendono la decisione più estrema per essere liberi, ovvero sbarazzarsi di Bragana simulando un finto incidente stradale. Il piano riesce quasi alla perfezione, ma la polizia si insospettisce per alcuni dettagli che non combaciano con la dinamica dell’incidente e si convincono che sia stato un omicidio. A questo punto la situazione tra i due amanti diviene sempre più tesa e dopo aver riscosso i soldi dell’assicurazione riaprono la vecchia trattoria di Bragana. Però i sensi di colpa sono duri da dimenticare e proprio per questo Gino si sente in trappola. Si considera un bugiardo, un qualcuno che ha rubato il posto che non merita ad un altro uomo, così scappa nuovamente. Arriva a Ferrara dove intraprende una relazione con una prostituta ma Giovanna lo rintraccia e dopo avergli detto che è incinta i due ritornano insieme. Però durante il ritorno, braccati dalla polizia hanno un incidente stradale e Visconti ci lascia con l’amaro in bocca: Giovanna muore sul colpo mentre Gino viene rintracciato ed arrestato.
Visconti ci mostra una fotografia dell’Italia di quel tempo. Ma l’assoluta novità sta nel mostrarcela attraverso una minuziosa descrizione dei personaggi e delle loro passioni, dei loro rapporti ma soprattutto le loro tragedie. Lontano anni luci dalle pompose ricostruzioni irreali delle precedenti pellicole degli anni 30, piene di falsi sorrisi e di un ostentazione del benessere sociale dei pochi.
“Ossessione” allo stesso tempo crea e si allontana dai dettami del Neorealismo. Ci mostra una cronaca della realtà che sarà simbolo del movimento ma contemporaneamente la storia è “costruita” attraverso inquadrature particolari e impostazioni artificiose. Da sottolineare anche è la scelta di avere attori professionisti invece di mettere davanti alla cinepresa persone prese dalla strada. A proposito di attori, Visconti aveva ingaggiato l’immensa Anna Magnani ma l’attrice era impossibilitata a prendere parte al film perché incinta, facendo virare la scelta del regista su Clara Calamai.
Luchino Visconti rappresenta per il Cinema italiano una figura cardine che attraverso il suo linguaggio ha scardinato la morale e il perbenismo con un’eleganza senza eguali. L’eros che rappresenta non è mai gratuito o frivolo, ma bensì frutto di una ricerca di linguaggio attraverso la quale basò tutta la sua opera, colonna portante della sua poetica e di una parte del Cinema mondiale.