1951: Limelight di Charlie Chaplin
E’ il nono lungometraggio del grande Poeta del cinema che ormai ha più di quarant’anni di carriera cinematografica.
Scrive giustamente Gian Piero Dell’Acqua: “Una delle singolarità di questo grande capolavoro chapliniano, la più evidente forse, fu quella di commuovere – apertamente, premeditatamente -in un’epoca tutta tesa a reagire a qualsiasi motivo di commozione e a riguadagnare una egoistica indifferenza che aveva perduto con la guerra”. Impossibile non commuoversi dinanzi alla storia d’amore tra la giovane ballerina e il vecchio clown, impossibile non commuoversi dinanzi al quadro del tramonto, al contempo, di un’intera epoca e di un individuo. Coraggiosamente Charlie Chaplin ammette di appartenere ormai a un altro mondo (all’inizio del film appare la didascalia “age must pass as youth enters” “chi è vecchio deve cedere il passo a chi è giovane“), ma prodigiosamente ci mostra come abbia ancora molte cose da dire e che le frecce del suo arco non sono terminate.
Commozione mirabilmente alternata a comicità. Commozione e comicità sono i tratti salienti di questo film su cui Chaplin lavorò per più di due anni, un film che “appartiene fin da subito alla storia del cinema” (Mario Gromo). Una accorata meditazione sull’amore, la vecchiaia, lo spettacolo, la vita… che il regista affida al dialogo ma soprattutto (lui sempre nemico del sonoro) ai gesti, ai silenzi, alle mille sfumature di un volto e di un corpo incomparabili. Luci della ribalta “è un concentrato di vita quando lì vicino c’è la morte, ed è per questo che è più vita. Un testamento, questo è. Dopo questo capolavoro, verranno altri due film per Charlie Chaplin, ma è qui che tutta la sua arte (che è la sua vita), viene riassunta: un Testamento” (Renato Massaccesi).
Un film sincero e profondo, intenso e struggente, elegante e massimamente curato nella forma. Un film che si fa notare anche per il particolare montaggio (1).
Un inno alla fantasia e alla immaginazione creatrice, le uniche componenti –è il messaggio del film- atte a dare un vero significato alla vita, vita in cui, afferma il protagonista, «nulla finisce, cambia soltanto»: non rimane “che esserne consapevoli e non smettere di credere che la vita, questo percorso sovente irto d’ostacoli e di cocenti delusioni, possa sorprenderci ancora. Per una nuova, lucente, ennesima ribalta” (Leon Lankelot) .
Memorabile l’apparizione di Buster Keaton: “Chaplin decise di aiutare il suo collega/rivale Buster Keaton, che era stato tra le “vittime” dell’avvento del sonoro, e gli affidò una parte nel film. Il duetto musicale tra i due alla fine del film è rimasto nella storia del cinema ed è l’unica volta che i due grandi del muto appaiono assieme sullo schermo” (da Wikipedia).
Deliziosa Claire Bloom che fu proprio lanciata da questo film (era la sua seconda prova d’attrice), film che vede la partecipazione di due figli di Chaplin (Sidney, il musicista, e Geraldine, una delle bambine presenti nella sequenza iniziale), nonché il fratellastro Wheeler Dryden (il dottore della protagonista).
p.s.
“Luci della ribalta è l’ultimo film di Chaplin girato negli Stati Uniti; infatti, lo stesso anno partì per l’Inghilterra e, a causa dei problemi col Maccartismo, non tornò più negli USA fino al 1972, per partecipare alla cerimonia degli Oscar. Sempre a causa dei problemi col Maccartismo il film rimase inedito negli Stati Uniti fino al 1972 e lo stesso anno vinse un Oscar per la miglior colonna sonora. Fu il primo caso di Oscar retroattivo” (da Wikipedia).
note
(1) “…ci troviamo di fronte a un montaggio totalmente piegato all’evolversi della vicenda. Le scene vengono accostate in una successione temporale lineare in cui s’innestano i ritorni al passato che vengono però inseriti senza che si frantumi il ritmo della narrazione. Nel montaggio non troviamo nessuna accelerazione né rallentamento alla storia, non troviamo alcuna sovrapposizione di sequenze. E’ un montaggio che serve solo ad accostare una sequenza all’altra, attraverso un numero elevatissimo di dissolvenze incrociate che rimarcano il passaggio temporale tra la scena precedente e la successiva” (Mario Francesco Zito)