Luci ed ombre nella Tempesta

Creato il 04 giugno 2013 da Theobsidianmirror
Tra i tanti artisti che hanno lasciato un segno indelebile nel Rinascimento italiano, vale a dire il periodo storico a cavallo del XV secolo, troviamo una figura che ho sempre ritenuto essere particolarmente affascinante. Di lui non sappiamo molto, se non ciò che ci è stato tramandato da quei pochi scritti che sono giunti fino a noi e che ne testimoniano la presenza  nello scenario veneziano di quegli anni. Il suo nome era Giorgio Gasparini, ma forse è meglio chiamarlo qui con lo pseudonimo con il quale è meglio conosciuto, vale a dire Giorgione.Nonostante l’ enorme popolarità, la sua è una delle figure più enigmatiche della storia della pittura: non se ne conoscono le origini, non si hanno notizie sugli anni della sua giovinezza e non se ne conosce l’educazione. È come si fosse materializzato improvvisamente su questa terra, come fosse giunto dal nulla e, nel giro di pochi anni, sia riuscito a dipingere alcuni tra i capolavori più ricercati, capolavori che tuttora occupano un posto d’onore nei più importanti musei del mondo. Dopodiché egli scompare, poco più che trentenne, si dice a causa dell’epidemia di peste che infuriò a Venezia nel 1510. In realtà, le opere a lui attribuite sono solo frutto della deduzione degli studiosi, visto che Giorgione non firmò nessuno dei suoi quadri, il che aggiunge un pizzico di mistero ad una figura di per sé già profondamente misteriosa. Ma non è tutto: i soggetti rappresentati sui dipinti a lui attribuiti sono tra i più criptici dell’epoca e, per secoli, sono stati oggetto  di innumerevoli tentativi di interpretazione. Tra le tante, l’opera più enigmatica è senza dubbio un olio su tela, di datazione incerta, conservato nelle Gallerie dell'Accademia a Venezia: la celeberrima “Tempesta”. Lo scopo di questo articolo è cercare di leggerne il significato nascosto e per fare questo ho chiesto aiuto alla mia collega blogger Marcella, che già in passato mi ha seguito con entusiasmo in un altro progetto simile a questo.
Quello che salta all’occhio guardando “La tempesta” nella sua interezza è l’alta irrealtà delle scena dipinta: un uomo vestito osserva una donna seminuda che allatta un bambino. I due personaggi sono ben lontani l’uno dall’altro, accanto agli estremi della tela. Li divide un corso d’acqua. In lontananza un ponte e una serie di edifici sbiancati da un fulmine leggero che taglia le nuvole scure. Un terzo “personaggio”, quasi invisibile, è un uccello posato su un tetto. Una situazione assurda che non può che essere interpretata in chiave allegorica, ed è proprio questo che cercheremo di fare.Nel 1530 un famoso letterato e collezionista veneziano, Marcantonio Michiel, descrisse il dipinto con queste parole: un "paesetto in tela cun la tempesta, cun la cingana et soldato”. Egli pare non essere affatto colpito dai tanti elementi anomali del “paesetto”. Vede un giovane con un lungo bastone e un abbigliamento che potrebbe benissimo essere un uniforme quattrocentesca. Ergo è un soldato. Vede una donna seminuda che porge il seno ad un bambino. Ergo è una zingara. Ma quando l’immagine ha tante, troppe, indicazioni straordinarie, solo un Michiel può non pensare ad un’allegoria, ad un messaggio criptico.Nel 1978 uscì un libro dall’ottimistico titolo “La tempesta interpretata” di Salvatore Settis, dove l’autore lesse il dipinto come la maledizione di Dio che si abbatte (il fulmine) su Adamo (l’uomo dal lungo bastone) ed Eva (la donna che allatta). Movente di questa interpretazione è un bassorilievo di Giovanni Antonio Amedeo che, a prima vista, presenta una certa affinità con l’opera giorgionesca. Adamo, nel rilievo, è anch’egli, come l’uomo della tempesta, alla sinistra del quadro, anch’egli regge un bastone (ma è evidentemente una zappa) ed Eva, che tiene tra le mani un bambino, è seduta nella parte destra. Ma le somiglianze sono tutte qui. I due personaggi, nell’Amadeo, sono talmente vicini che il piede di Eva quasi tocca quello di Adamo. Nella Tempesta la distanza tra i due attori è portata all’estremo e un fiume li divide. Nel rilievo tra i due personaggi appare Dio, a figura intera, dominante. In Giorgione Dio non si mostra.

Palma Vecchio, Alabardiere con giovane donna seduta, 1510 ca

Un altro studioso, Edgard Wind, notò nella Tempesta una forte similitudine con un paio di dipinti raffiguranti il riposo della Sacra Famiglia durante la fuga in l’Egitto. Anche in quelle rappresentazioni era visibile un uomo (un soldato) con in mano un bastone (una lancia) e una donna con bambino seduta e abbigliata come una zingara (una mendicante). Nel primo dipinto, attribuito ad anonimo, appaiono tre figure immerse in un paesaggio: sul lato sinistro c’è una donna seduta a terra nell’atto di sorreggere un bambino in piedi accanto ad essa. Lo sguardo della donna fissa un soldato in armatura in piedi sul lato destro del dipinto. Per Wind si tratta di un’allegoria della forza (il soldato) e della carità (nella tradizione romana la carità era rappresentata da una donna che allatta). Un secondo dipinto, attribuito a Palma Vecchio, è ancora più chiaramente una rappresentazione della sacra famiglia, visto che assieme a Gesù è ritratto il piccolo Giovanni Battista. Anche qui Giuseppe indossa un’armatura e Maria, seduta, osserva il gioco dei due piccoli indossando una specie di turbante da zingara.La similitudini però anche in questi due casi si fermano ai personaggi: un uomo in piedi e una donna seduta il cui sguardo, tra la altre cose, nella Tempesta è rivolto verso l’osservatore anziché verso il suo compagno.
E quindi? Quindi vale la pena di soffermarsi sugli elementi di contorno che sono quelli in cui è forse nascosta la vera chiave della Tempesta. La scena è divisa da un corso d’acqua scavalcato da un ponte e questo è il primo indizio della natura “bipolare” del dipinto. A sinistra troviamo un nucleo di significati, a destra un altro. Immaginiamo che il Giorgione abbia disegnato una linea verticale, mediana, nello schizzo preparatorio: la linea centrale corre, idealmente, al centro esatto del quadro e lo divide in due settori. Essa coincide con la più grande e vistosa fessura del rialzo di terra su cui siede la donna, quindi divide in due parti uguali la campata centrale del ponte e corre esattamente in mezzo alle due torri gemelle sullo sfondo. Indicazioni così geometricamente rigorose provano che l’esistenza di linea centrale non è completamente campata in aria. Il corso d’acqua infine serpeggia tra i due settori, s’incunea ora nell’uno ora nell’altro a simboleggiare la compenetrazione di due elementi distinti. Ma quali sono questi due elementi? Quali differenze tra la parte sinistra e la parte destra della tempesta?
Analizziamo con attenzione la parte sinistra. Vicino al bordo appare un personaggio maschile, vestito, che nella mano sinistra stringe una lunga asta. Alle sue spalle un muretto (o quello che ne resta) sul quale sono posate due colonne recise. Più dietro ancora, oltre la vegetazione, vi sono dei ruderi dalle vistose crepe. Osserviamo gli alberi: in questo settore appaiono esili, malati, forse morti. I cespugli sono bassi e radi. Le foglie sono ingiallite, autunnali. La terra è secca, non c’è vegetazione ai piedi dell’uomo. Tutto in questo settore parla di morte. Come l’autunno che precede l’inverno qui sono rappresentati i giorni che precedono la morte. Quella lunga asta nella mano dell’uomo non è un arma e nemmeno una zappa o un qualunque oggetto che possa vere una utilità pratica: è semplicemente un bastone, lo stesso bastone che presumibilmente un giorno lo sorreggerà nella sua vecchiaia. Lo sguardo dell’uomo è rivolto verso il lato destro del dipinto, quasi ad invidiare qualcosa che nel suo lato non è presente. Sul volto un’espressione  malinconica. Il lato sinistro si può quindi interpretare come il lato oscuro, il lato negativo, il lato della Morte, tutto l’opposto del lato destro, dove invece…… invece…. ma di questo vi parlerà meglio Marcella nel suo “post gemello”. Continuate quindi a leggere qui.
Il “corso d’acqua che serpeggia tra i due settori e lì, infine, ad agire da vero protagonista e a simboleggiare la compenetrazione di due elementi distinti: la Vita e la Morte. Tutto si compenetra, niente è nettamente diviso, sembra suggerirci Giorgione: il fiume che porta acqua pura e trasporta anche acqua insalubre; il ponte che lega le due parti opposte e contrastanti del quadro. Un ponte che è un passaggio a due sensi: dalla vita alla morte o viceversa; il ponte è una congiunzione e, forse non è un caso che quasi a metà del ponte si schianti un fulmine, simbolo della ineluttabilità della morte nella vita e della nascita nella morte. 

Giorgione, La Tempesta, 1506 ca



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