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Luciano Canfora: intervista sul potere. Una lettura critica di….

Creato il 23 agosto 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

canforacoverMichele Marsonet. Di Luciano Canfora, docente di Filologia classica all’Università di Bari e noto studioso del mondo antico, tutti conoscono la vis polemica che ha spesso innescato dibattiti accesi su giornali e mass media in genere. E’ raro che chi conduce ricerche nell’ambito storico e filologico dell’antichità si dedichi con tanta passione all’analisi della realtà contemporanea, anche se altri esempi illustri non mancano (si pensi, per citare un solo caso, all’insigne latinista Concetto Marchesi, uomo chiave del PCI negli anni ’40  e ’50 del secolo scorso).

Anche Canfora è, come Marchesi, uomo di sinistra che ha avuto una formazione marxista destinata a segnare l’intero corso della sua vita. Si tratta certo di un marxismo a tutto tondo, ma diventato con il trascorrere del tempo meno dogmatico e aperto al confronto con posizioni anche diversissime da quelle che egli sostiene. Mette quindi conto segnalare un suo bel libro uscito da poco per i tipi di Laterza: “Intervista sul potere” (a cura di Antonio Carioti).

Come recita il titolo, il volume non è il classico saggio, bensì un dialogo serrato con Carioti in cui il docente barese risponde alle domande poste dall’intervistatore. Numerosi sono i temi trattati, ma netto il filo rosso che li unifica. Canfora riprende in questo contesto un argomento – o, ancor meglio, un quesito – che gli è sempre stato caro: esistono nella storia tratti comuni che consentano, pur con le dovute cautele, di analizzare il presente e prevedere il futuro basandosi sugli avvenimenti passati?

E’ la tipica domanda che i filosofi della storia si sono sempre posti, a partire da Erodoto e Tucidide per arrivare ai nostri giorni. Ed è una domanda che affascina le menti di storici e filosofi – e pure dei governanti – sin dalle origini del genere umano, poiché se ne trovano tracce consistenti già nelle grandi civiltà che hanno preceduto nel tempo la nascita del pensiero occidentale in Grecia. Canfora dimostra nelle varie parti del libro una grande competenza, che travalica i confini delle discipline da lui insegnate in ambito accademico.

A suo avviso il linguaggio della politica è durevole e sfida i millenni. Inoltre la continuità forte che si ritrova nella storia non riguarda tanto una presunta “natura umana” immutabile, ma piuttosto le dinamiche politiche che sono inevitabilmente ripetitive. “Mi sembra innegabile – scrive a p. 36 – che le tipologie dei sistemi politici siano tuttora quelle classificate non da Aristotele, ma già da Erodoto. Democrazia, oligarchia, tirannide: Machiavelli, Hobbes, Montesquieu si cimentano con quei medesimi concetti. E anche noi non inventiamo nulla quando parliamo di regimi ‘misti’, nei quali cioè la democrazia è attenuata da fattori di carattere oligarchico”.

Può destare sorpresa il fatto che uno studioso di formazione marxista insista molto sulla inevitabilità “pratica” delle oligarchie oppure – per usare un termine che tuttora è poco amato – delle élites. Canfora tuttavia ha assimilato in profondità le indicazioni della famosa scuola politologica italiana di Gaetano Mosca e Roberto Michels, notando tra l’altro che questi autori influenzarono in modo decisivo anche lo sviluppo del pensiero di Antonio Gramsci. Tesi che indubbiamente sarebbe stata considerata “eretica” ai tempi del vecchio PCI.

Per Canfora non è un problema ammettere il carattere inevitabilmente elitistico di ogni formazione e di ogni società politica. La “democrazia diretta” è un’illusione. Non è mai esistita, neppure nella massima fioritura delle città stato della Grecia classica. Anche in quel caso l’assemblea si illudeva di prendere decisioni autonome, mentre in realtà esse venivano formulate e poi fatte approvare da circoli ristretti. Lo stesso scenario che ci troviamo di fronte con Lenin e i bolscevichi. Da un lato l’immagine apparente del potere diffuso e frazionato tra i consigli degli operai, dei contadini e dei soldati. Dall’altro quella reale, dove le decisioni erano assunte da un nucleo assai ristretto di dirigenti del partito. Per restare nell’alveo più strettamente contemporaneo, e scendendo innumerevoli gradini sul piano della serietà, si pensi al movimento grillino. La democrazia diretta è strombazzata sui media, ma i militanti si limitano a eseguire gli ordini di un gruppo ancora più ristretto (rischiando la scomunica in caso di disobbedienza).

La Realpolitik, secondo Canfora, “non è una parolaccia, ma una dura necessità per chi si trova a dirigere uno Stato” (p. 98). Seguendo tale approccio di stampo estremamente pragmatico vanno pure esaminate alcune realtà contemporanee di difficile comprensione, per esempio la Cina. A molti tremeranno i polsi leggendo queste frasi: “Può apparire un paragone ardito. Ma oggi abbiamo un miliardo e mezzo di persone che si sono organizzate in un grande Stato con criteri che grosso modo ricordano il nazionalsocialismo tedesco. Capitalismo sotto controllo, ma al tempo stesso posto in condizione di fare profitti molto elevati; disciplina ferrea; militarizzazione delle masse; partito unico con dirigenza ideologizzata; massimo pragmatismo nel perseguire obiettivi di potenza” (p. 104).

Non mancano infine i cenni a Spengler, Collingwood e Toynbee, i grandi esponenti di quella che oggi si definisce filosofia della storia “speculativa” per contrapporla alla filosofia della storia analitica. Ma a Canfora interessa soprattutto il contemporaneo Huntington con la sua tesi dello “scontro delle civiltà”. Notando che in realtà l’idea è vecchissima, poiché già nel V secolo a.C. era in auge la contrapposizione tra la Grecia da un lato e l’Asia (incarnata soprattutto dall’impero persiano) dall’altro, egli nota che i conflitti di civiltà sono indubbiamente un fattore importante tra quelli che contribuiscono a determinare le dinamiche geopolitiche. Aggiungendo però che “sembra generico parlare di civiltà come se fossero blocchi compatti. Per quanto si possa coltivare lo spirito critico, appartenere a un ambiente culturale significa esserne impregnati, condividere usanze e modi di pensare collettivi, a volte contro la propria volontà. Ma questo non significa che un mondo caratterizzato da certi costumi funzioni come un’entità monolitica. Anzi di solito queste grandi civiltà sono solcate da profonde divisioni interne, con parti vincenti e parti perdenti” (pp. 101-102).

Il libro mi sembra insomma assai interessante, pur non condividendo molti giudizi e analisi dell’autore. E’ uno strumento utile per tutti coloro che cercano di trarre dal passato indicazioni utili sul futuro. E ancor più su un presente che spesso, di primo acchito, si manifesta pressoché indecifrabile.

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