Giovanni Berardi e Luciano De Crescenzo
Correva l’anno 1984 quando Luciano De Crescenzo dava, come si dice negli annali del cinema, il suo primo giro di manovella al suo film d’esordio, Così parlò Bellavista. Il film è una sua assoluta creatura letteraria; Luciano De Crescenzo d’altronde arriva al cinema dopo anni di successi editoriali, opere letterarie che hanno avuto anche decisi riscontri internazionali. Il suo personaggio, il professor Bellavista, è quello che potremmo definire una ulteriore maschera italiana, anzi napoletana, una figura che resta quasi un contraltare a quella di Pulcinella; questo per trovarle una affinità affondata nella cultura italiana, studiata e narrata da De Crescenzo in un percorso fondamentale di estreme, addirittura, filosofie e di divertenti teorie sociali. Così parlò Bellavista, pensiamo, e in qualche maniera Luciano De Crescenzo ce lo ha anche confermato apprezzando decisamente il nostro concetto, era già un film quando era ancora in forma di romanzo, talmente era scritto attraverso smorfie, gesti, atteggiamenti, elucubrazioni. Così parlò Bellavista era esattamente un romanzo scritto come una sceneggiatura cinematografica, per questo la sua trasformazione in pellicola non si è fatta attendere poi troppo, tutto sommato, e nell’ambiente non ha assolutamente suscitato sorprese.
Luciano De Crescenzo inizia a questo punto una carriera che è anche cinematografica, comincia a scrivere e ad aggiungere, decisamente, righe sostanziali nel lungo curriculum del cinema italiano. E sono righe, pensiamo, anche preziose e significative. Innanzitutto perché il suo personaggio principe, il professor Gennaro Bellavista, appunto, può saldare anche Luciano De Crescenzo alla storia del costume italiano visto al cinema, e dunque alla cultura, all’identità italiana, anzi, nello specifico proprio di Luciano De Crescenzo, alla identità napoletana, addirittura alla sua filosofia più spicciola e primordiale. Allargando moltissimo la sfera dei meriti, tutti naturalmente identificati con le debite distanze e proporzioni storiche, si può vedere in Luciano De Crescenzo una sorta, finanche e perché no, di Chaplin-Charlot dei nostri tempi (perché il personaggio che rimane e domina il proscenio resta sempre l’autore, la sua educazione, la sua cultura), e, in ultimo, una sorta di Villaggio-Fantozzi, maschera emblematica del nostro costume e della nostra cultura più recente ed in verità, forse, anche più abbietta. Forse la storia del cinema che si scriverà prossimamente li potrà apparentare anche criticamente.
Luciano De Crescenzo arriva al cinema, come abbiamo detto, proveniendo dal meraviglioso mondo dei libri, preceduto nel campo da personalità sicuramente autorevoli e geniali in questo percorso verso il cinema; oggi pensiamo in qualche maniera a scrittori quali Mario Soldati, Pier Paolo Pasolini, Pasquale Festa Campanile, Alberto Bevilacqua, che prima di lui hanno fatto, in concomitanza con la professione di scrittori, la scelta della espressione artistica e culturale anche attraverso la regia cinematografica, come in tempi più recenti, e sempre con le dovute differenze di affinità e di progetti culturali, ha fatto anche Federico Moccia, che resta si, Federico Moccia, uno scrittore ed un regista di grandissimo successo di pubblico, ma rimane diffusore e protagonista di una cultura sicuramente discutibile, certamente e plausibilmente adatto ai tempi culturali, annoiati e pedissequi, di oggi. Luciano De Crescenzo ha un primo debutto nel cinema nel 1978 con la sceneggiatura del film La mazzetta per la regia di Sergio Corbucci, tratta dal romanzo di Attilio Veraldi. Sergio Corbucci chiama De Crescenzo proprio indicandolo come uno esperto sociologico delle cose e della filosofia di Napoli (in un film che probabilmente voleva avere, come ci ha raccontato la moglie del regista, Nori Corbucci, un percorso di lavoro proprio come nei film realizzati nei migliori anni del neorealismo più macchiettistico, poi definito neorealismo rosa). La mazzetta è una storia, in fondo, dichiaratamente poliziesca, ma velata fortemente da un azzeccato umorismo da commedia all’italiana, anzi da un umorismo tipicamente napoletano. Il film di Corbucci sarà un successo, l’interprete protagonista, Nino Manfredi, mai così atletico e “mariuolo” al cinema, si spende come sempre meravigliosamente, e Ugo Tognazzi, che è il contraltare di Manfredi risponde adeguatamente, nel ruolo del commissario di polizia Assenza.
Ma la consacrazione decisa e vera di Luciano De Crescenzo nel cinema sarà, in definitiva – sotto la cultura goliardica ed intelligente del suo amico Renzo Arbore, che lo ha voluto coautore ed interprete del suo film – Il Pap’occhio (1980), girato tutto sommato a gran sorpresa dal musicologo e show-man Renzo Arbore. E fu un film, Il Pap’occhio, che è costato a De Crescenzo, insieme ad Arbore, anche una accusa per vilipendio alla religione cattolica, alla figura del pontefice regnante (che all’epoca era Giovanni Paolo II) nonchè di propaganda assoluta dell’ateismo. C’è stato, insomma, all’esordio un percorso piuttosto in salita. Renzo Arbore aveva da sempre confessato la sua grande passione per il cinema, ma mai, in fondo, era venuta a sapersi davvero quella che era la grande voglia di dirigerne addirittura alcuni (il suo secondo film fu FFSS ovvero, che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene? girato nel 1983). E’ stata davvero una esperienza, quella del cinema, che Renzo Arbore voleva pianificare e colmare nel suo straordinario curriculum professionale, ormai al massimo come artista certamente poliedrico ed imprevedibile, ma anche di capace ed esperto musicista. Quella di Renzo Arbore regista cinematografico fu comunque una esperienza che indirizzò, in qualche maniera, anche Luciano De Crescenzo alla convinzione decisa di fare il film suo; da lì a poco, infatti, De Crescenzo comincerà a “fiutare” e capire i canali più diretti e precisi per il suo esordio da regista. Luciano De Crescenzo costituisce un’occasione, inoltre, per inoltrarci nel territorio del cinema italiano degli anni ottanta, anzi di tastare proprio il polso, nello specifico, a quello che sarà il decennio millenovecentottantacinque – millenovecentonovantacinque, gli anni in cui De Crescenzo girerà i suoi film, Così parlò Bellavista, Il mistero dI Bellavista, 32 Dicembre, Croce e delizia. Cosa significano questi film di De Crescenzo nel contesto specifico? Intanto che nell’ottobre del 1993 moriva il regista Federico Fellini, l’uomo che noi pensiamo sia rimasto il talento più geniale del cinema italiano, il maestro, nelle cui opere poteva riconoscersi il pubblico più popolare e quello più sofisticato. Federico Fellini è morto con la consapevolezza di avere ancora molte cose da dire, che nemmeno il quinto premio Oscar alla carriera, giunto proprio nell’anno della sua morte, aveva mitigato. Quello che Fellini voleva assolutamente testimoniare, e che in fondo la sua morte ha proprio sottolineato, era che ormai il posto di “comando” a Cinecittà non apparteneva più agli artisti ma ad aridi faccendieri, finanche a barbari manager, ad inutili mezzemaniche che si succedevano, anche a stretto giro di posta, e sempre decisi politicamente, uno dopo l’altro. Quello che vogliamo sottolineare, e in definitiva rilanciare, con questo ricorso a Federico Fellini, é che il cinema di Luciano De Crescenzo è nato e cresciuto in un panorama tra i meno rosei per la storia artistica, culturale ed industriale del cinema italiano.
Tornando nello specifico della filmografia di Luciano De Crescenzo è certamente il film 32 Dicembre (1988) che meglio continua a rappresentarlo. Scritto tra l’altro insieme ad una sceneggiatrice davvero di prestigio, la scrittrice e politologa Lidia Ravera, agguerrita autrice, in tandem con Marco Lombardo Radice, dell’ormai mitico romanzo Porci con le ali (1976) – torneremo in una puntata a parlare esclusivamente della Ravera, lo merita appieno in virtù proprio delle cose fatte, nella vita e nell’arte. 32 Dicembre è anche, essenzialmente, la pellicola che De Crescenzo predilige in assoluto, il suo film più vero, come ci ha detto, anche perché è un soggetto esclusivamente cinematografico, non attinto cioè ad alcuna delle sue precedenti fatiche letterarie.
Dice Luciano De Crescenzo: “32 Dicembre l’ho girato con i soldi veri, con una produzione consistente. Quando ho girato il mio primo film, Così parlò Bellavista, di soldi non ce ne erano assolutamente. Quando ho cominciato a girare a Napoli continuavo ogni giorno a spargere la voce che chi voleva poteva pure partecipare al film, ma soldi non ne avrebbero visti, nemmeno con il binocolo. Tutti gli attori di Così parlò Bellavista, compreso me non furono mai pagati”. I grandi incassi realizzati poi dalla pellicola appianarono naturalmente la questione, il film diventò in breve tempo una delle pellicole più viste del periodo e, nel tempo, la sua fama ha assunto i caratteri ed il valore di un “film cult”. In fondo il cinema di Luciano De Crescenzo è diventato per un periodo un simpatico appuntamento, proprio un appuntamento a tappe con la “saggia risata”.
Dice Luciano De Crescenzo: “Io amo far ridere e sorridere, e certo è che c’è comico e comico, ed io non pretendo di aver fatto film come quelli dei sopraffini Chaplin, Tati, Allen, ma è chiaro che la direzione che avevo preso era quella…”. Il suo ultimo film però, Croce e delizia (1995), non ha convinto né il pubblico e nemmeno la critica. Oltre, come ci ha detto, De Crescenzo non è potuto più andare. Ed ha alzato le braccia in aria in segno, forse, di chissà quali speranze.
Giovanni Berardi