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Lucignola di Gloria De Vitis

Creato il 30 marzo 2012 da Cultura Salentina
Lucignola di Gloria De Vitis

Gloria De Vitis: Lucignola

  • Pinocchio guardiano d’odalische

“Lucignola” di Gloria De Vitis, Lupo Editore, Copertino, 2011, è un libro tutto concentrato nel titolo e nella copertina, magistrale foto di Francesco Leone, in cui c’è un Pinocchio legato (potremmo anche dire “guardiano impiccato” alle grazie proibite di un’odalisca) al collo di un’immagine di donna nuda vista però di terga, una donna che mostra un corpo perfetto e un fondo schiena scintillante. La trasgressione, la ricerca del paese dei balocchi (leggi una vuota ricerca del piacere e un’ impossibile felicità) e l’eros (i frequenti rapporti sessuali che la protagonista ha con diversi uomini), tutto il romanzo sembra già lì, in bella mostra, non c’è bisogno – forse – di aprire quella scatola magica che è il libro. E non a caso l’autrice è un’artista figurativa (pittura e fotografia) che sa come sia possibile narrare il “tutto”, o quasi (questo sarebbe stato il sogno di un Fellini) con una sola immagine, la copertina appunto. Del resto a che serve la scrittura, a che servono i libri?. E’ lei stessa a fornire la chiave di lettura. “Ancora un altro libro, solo un altro sterile, inefficace libro…I libri, nient’altro che contenitori stanchi di mezze verità, e la verità, un’altra finzione?

  • L’arte senza condizionamenti

Gloria De Vitis è una leccese, nota soprattutto come artista d’arte figurativa, in cui ha conquistato i suoi spazi, grazie alla sua personalità e alla sua assoluta originalità creativa. E anche a un suo modo di pensare decisamente anticonformista. Della sua pittura informale -, che richiama abissi mostruosi, spaventosa energia del caos della materia, buchi neri, spazi senza confini, turbini agata e indifferenti beatitudini, luoghi di tenebra senza fine, nodi d’urli e nubi di silenzi, roba inconscia, che risale da memorie lontanissime, ancestrali, da giorni di morte bianca o nera, – non vuole nessuna notazione o, peggio, “illuminazione” critica (è da presuntuosi credere di penetrare e spiegare qualcosa che la stessa autrice non percepisce bene cosa sia, l’arte è un fatto emozionale e diretto, lasciamo che lo spettatore provi la sua libera sensazione di stupore o repulsa, senza condizionamenti di sorta).

Insomma è una che va controcorrente, una vera e propria “Lucignola”. Ma chi è Lucignola? E’ un’amica intima di Pinocchio il ribelle giocoso, il nostro Peter Pan pieno d’energia, a cui è dedicato il libro, “la favola bella che ieri ti illuse, che oggi ti illude …” Ma “lucignolo” è anche un asse della candela, un incrocio tra il filaccio e la luce vera e propria. Possiamo dire che è un libro che sta nell’ombra, che non ha verità da trasmettere, che è tra il detto e non detto, tra il fuori e il dentro, tra l’altro e noi, tra istinto animale e collegamento divino; nel tutto s’infiltra una passione totale di anima sesso e sangue, forse un inganno, forse un prurito, forse un destino, comunque un altrove.

  • Anna, Moravia e l’Ultimo tango.

Anna, la protagonista del romanzo, è un personaggio molteplice, che ha dentro di sé una confusa idea d’infinito e di rivolta (Vivevano dentro di lei vari “personaggi in cerca d’autore” : l’imprenditrice, la barbona, la virtuosa, la puttana –pag.23) e trova, dovunque si giri, nullità, banalità, o arbitrarietà di gesti e di valori, crudeltà psicologiche, violenze, erotismo disperato e meccanico.

“ In questo teatro di incontri fugaci,/ amori promiscui, orgasmi simulati,/ nell’incidenza di un corpo che sembra offrirsi ridente / che si concede senza appartenenza ed appartiene senza concedersi, in cui in nuclei invisibile è celata la verità/ e la menzogna è padrona sulle bocche velenose,/ non trovo più il dolore di un’esistenza che si contrae, ma assenza” (pag.29).

Ricorda un po’ i personaggi da ultima spiaggia di Moravia, che si arrendono a discrezione, per disistima di loro stessi, per indifferenza verso qualunque deriva della vita : Il suo corpo si concedeva con facilità, forse perché non aveva conosciuto la sacralità del piacere…si donava semplicemente perché era stata scelta…ma l’apice del piacere lo sapeva raggiungere solo attraverso la masturbazione” (pagg.23-25).

Finalmente Anna incontra Tobia, ed è una lunga storia d’amore che mi rievoca vagamente “Ultimo tango a Parigi” (Gloria De Vitis era troppo piccola quando uscì il film-scandalo, di cui allora non se ne comprese la portata rivoluzionaria), con una finale scena di sesso estremo che ricorda in qualche modo quella del film di Bertolucci. E’ un sesso disperato, tragico, funereo, d’addio. Questa è la scena centrale, essenziale, di tutto il libro, come lo era di tutto il film. Sembrerebbe un po’ banale, ridurre la sua voglia di “ liberare la vita, quella vita che si ribellava a tutti i lucchetti di sicurezza cui era contenuta, per poi afferrarla in volo”(pag.17) solo a questa scena, ma lo fu ugualmente a suo tempo per il film di Bertolucci, che era un film quasi metafisico e fu scambiato per un film pornografico.

  • Maledettismo salentino

Anche Anna-Gloria cerca…(mi verrebbe da dire, con una battutaccia, la gloria, ma in realtà non è quello che vuole) un proprio modo di essere, un proprio modo di esistere, un proprio modo di amare, (…“fu letteralmentesommersa da una luce bianca che filtrava tra bollicine d’aria e d’acqua in sospensione. Era proprio così che si era immaginata l’amore: una cessazione temporanea dal sé…) che, forse, si raggiunge solo con la morte. Del resto non diceva forse Camus che c’è incompatibilità tra l’uomo e la vita?

La protagonista del suo racconto, Anna, non ha più parametri di giudizio, tutto è pari in questo mondo, in questa società in liquidazione, il cinismo e la lealtà, l’amore e il disprezzo. Offre il suo corpo, il suo sesso spento, un po’ a tutti i diversi uomini che incontra, quasi in una sorta di gioco schizofrenico, ora si fa puttana di lusso, ora amante frigida, ora affettuosa samaritana che si concede ad un vecchio amico del padre, ma sempre con la massima noia e disgusto, sempre in cerca di qualcosa che esorcizzi la sua angoscia profonda, il suo mal di vivere, (direi che l’ artista leccese possa entrare a far parte del c.d. “maledettismo salentino” di cui parlava Donato Valli).

Anna è una che sovente filosofeggia sul mondo delle idee (…le parve persino di vederle quelle idee, correre a piedi nudi verso…mentre lei portava addosso il peso del mondo – pag.33), e chissà che – invece – alla fine non trovi la sua armonia insieme a Tobia, il solo uomo che abbia veramente amato?

Sì, è, probabile.

Ma in un’altra dimensione.

Nel paese delle meraviglie?

Più o meno.

  • Il muro

Che ci vuol dire, infine, Gloria De Vitis con questo romanzo breve? Che la pienezza di esistere è preclusa da spesse cortine di limiti del corpo e dell’intuito, che possono coglierne l’intuito attraverso minimi respiri clandestini, fuori dalla pochezza dilagante dell’autoinganno.

La disponibilità alla vita deve districarsi in miscugli non risolti d’anima e corpo (Cos’altro poteva essere lei, se non uno spicchio del mondo e del sogno cui lui anelava? Lei che non bastava a se stessa, lei che puzzava del suo io, lei e il suo niente)

Echi di sillabe si sgranano in parole o grumo che filtrano significati, e si tenta il precipitato e l’intreccio dei corpi,l’estrema intimità, in cui la loro carne e mente non richiedevano nessun’altra percezione, per ritrovare un suggerimento di senso in divenire. Ma nonostante quella fonte inesauribile di baci, “tra loro c’era un muro,un muro che non sarebbe mai venuto giù.

Quel muro era

“l’ Eterno ritorno senza ritornare mai

L’Eterno avanzare senza avanzare mai

L’Eterno tempo di una sigaretta.”

I suoi personaggi sembrano un po’ quelli di Moravia, finiscono col vivere soltanto quel che c’è dietro quel muro,coi loro gesti vuoti e il chiuso chiuso dentro il loro petto serrato. La realtà li fascia, li assedia, e non li scalfisce: forse li chiama ad agire, ad essere, ma essi non ne sentono il richiamo, non riescono a compiere nessun salto liberatorio, restano impigliati nell’abulia di esistere, disperati senza disperazione.

Il muro è ancora alto. E non è caduto.


Roma, 16 marzo 2012    Augusto Benemeglio


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