1996-2016. Sono già passati vent’anni dalla scomparsa di Lucio Fulci, terrorista dei generi e poeta del macabro. I suoi film, spesso e volentieri bistrattati da critica e pubblico, hanno ricevuto il giusto riconoscimento solo negli ultimi tempi. Fulci era un artigiano, un uomo di sostanza, che non nascondeva una propensione artistica e culturalmente raffinata, riuscendo così a compensare con una messa in scena definita da molti di “serie b”. Certo, i soldi scarseggiavano e i budget di produzione erano risicati, ma Fulci è sempre stato in grado di arrangiarsi, riuscendo a partorire quello che la mente e lo stomaco gli suggerivano, in ogni genere di film. Da I ragazzi del juke box, primo musicarello italiano che vede il debutto di un ancora sconosciuto Adriano Celentano, passando per memorabili thrilling come Una lucertola con la pelle di donna, Non si sevizia un paperino e Sette note in nero, senza però dimenticare le commedie più e meno erotiche (La pretora, Il cav. Costante Nicosia Demoniaco ovvero Dracula in Brianza, All’onorevole piacciono le donne) (Le massaggiatrici, I maniaci, Gli imbroglioni). Ma si sa, è l’horror il vero genere cardine in cui Fulci eccelle in maniera assoluta e attraverso il quale riesce a esprimere il suo innato cinismo.
In questo articolo mi sono focalizzato soprattutto su tre film del regista romano (…E tu vivrai nel terrore! L’aldilà, Paura nella città dei morti viventi e Zombi 2) che secondo me presentano interessanti analogie con la filosofia, l’arte e la visione del Theater of Orgies and Mysteries dell’austriaco Hermann Nitsch. O meglio, dove entrambi possono aver attinto l’uno dall’altro in maniera più o meno inconsapevole, creando un affascinante gioco di rimandi tra cinema e performance dal vivo dove corpo, carne e sangue diventano punti di svolta fondamentali.
Se Lucio Fulci fosse ancora vivo,
Hermann Nitsch sarebbe il suo scenografo
Anonimo
Propongo di agire sugli spettatori come gli incantatori sui serpenti
e di far loro ritrovare attraverso l’organismo
le sensazioni più sottili.[1]
Antonin Artaud, 1932
È grazie ad Artaud e alla sua poetica del Teatro della crudeltà che due artisti apparentemente distanti come Lucio Fulci e Hermann Nitsch hanno realizzato alcune delle loro opere più interessanti.
Il primo è un regista cinematografico considerato per tutta la durata della sua vita “minore” o di “serie b” e solo negli ultimi anni rivalutato dalla critica estera (soprattutto quella francese e americana). L’altro è un curioso artista dell’Azionismo viennese[2], considerato da molti “controverso”, fondatore del Theater of Orgies and Mysteries, “dove l’espressione viene racchiusa e collegata al panico, alla sofferenza e alla morte (aggressione, potenza, sadomasochismo)”[3]. Ritrovare se stessi, al di là della vita e della morte, è una drammaturgia psicoanalitica che secondo Nitsch rilascia forti repressioni: “attuo questo forte richiamo nei confronti di Artaud per svegliare lo spettatore. Le rappresentazioni della violenza, della tragedia e della stessa crudeltà sono un chiaro atto di richiamo verso la vita”[4]. Nitsch tratta nelle sue opere viscerali un’accentuazione all’atto visivo del sangue, della carne e conseguentemente della nascita (la nascita cristiana), della morte (la passione di Cristo) e della rinascita (la resurrezione di Cristo), dove panico e tortura visiva sono i minimi comuni denominatori. Queste due ultime peculiarità saranno ascrivibili anche all’estetica che Lucio Fulci applica alle sue opere cinematografiche. Anch’egli legato alla filosofia di Artaud, ai miti della rinascita e della reincarnazione, grazie alla sua dote di “contaminatore” dei generi cinematografici, è stato definito da alcuni critici e amici “terrorista dei generi”[5]. Un interessante raffronto tra le visioni di Nitsch e Fulci è il film …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà (1981), considerato il capolavoro del regista romano. Nella scena iniziale troviamo un pittore perseguitato da una folla inferocita perché ritenuto autore di sortilegi demoniaci ai danni di una cittadina della Louisiana. Gli abitanti del villaggio lo incatenano per i polsi e per le caviglie ai muri di una cantina sotterranea, dove gli versano in viso calce viva per poi murarlo. Dopo diversi decenni, questi torna in vita sotto forma di non-morto. La sequenza appena descritta, estremamente violenta e in asse con la visione fulciana di dolore, può perfettamente combaciare con l’idea di tortura di Nitsch: una crocifissione (tortura fisica) che attua nello spettatore un forte supplizio visivo, generando panico durante una celebrazione di morte fisica, per poi sfociare in una resurrezione (in questo caso mortifera). Un altro esempio è la scena in cui l’attrice Daniela Doria si svuota delle proprie viscere in Paura nella città dei morti viventi (1980). Anche qui Fulci, come Nitsch nelle sue opere, filma una nascita esterna da una distruzione interna. Il corpo svuotato dalle sue energie (le viscere in questo caso) da “qualcuno” diventa “qualcosa”:
Il regista estremizza le tecniche dell’immaginario orrorifico indugiando sulla morte della ragazza con una lentezza e un’insistenza che sembrano quasi sfidare lo spettatore a distogliere lo sguardo, nonostante quest’ultimo goda di un momento di onnipotenza.[6]
Molte persone vicine al regista hanno sempre affermato di un suo debole per i dettagli da obitorio e in Zombi 2 (1979) ne abbiamo le prove attraverso la famosa scena dell’uccisione di Olga Karlatos, divisa in due segmenti. Il primo lo si nota quando l’occhio della donna viene trafitto da una scheggia di legno – rendendo la sequenza una spietata performance dell’atto visivo – mentre il secondo lo riconosciamo nella scena del banchetto che i non morti stanno praticando sul corpo, ormai privo di vita, della malcapitata. Questo diventerà in breve tempo uno dei quadri più violenti di tutto il cinema dello spavento a livello mondiale. Sembra quasi che Fulci abbia voluto punire gli spettatori con una sorta di pornografia dell’orrore dove la macchina da presa si è addentrata nei più profondi meandri del corpo umano, creando così una visione fino a poco prima ignorata (o evitata) dal cinema italiano.
Con Nitsch, e soprattutto con Fulci, i tabù della lacerazione sul corpo vengono abbattuti. L’orrore viene mostrato in tutte le sue forme, i dettagli truculenti diventano punti cardine di una coscienza corporea concreta. Con loro, quello che viene considerato tragico diventa catarsi.
Francesco Foschini
[1] M. De Marinis, Le rivoluzioni del Novecento, in Aa. Vv., Breve storia del teatro per immagini, Carocci, Roma 2008, p. 273.
[2] B. Zamponi, 05/06/2012, [http://xl.repubblica.it/articoli/la-necessita-dellefferatezza-secondo-hermann-nitsch/802/].
[3] K. De Jongh – S. Gold (a cura di), Personal structures. Time. Space. Existence, catalogo della mostra (Venezia, 55ª Biennale a Palazzo Bembo), Global Art Affairs Foundation, Germany 2009-2013, p. 210.
[4] Ivi, p. 341.
[5] P. Albiero – G. Cacciatore, Il terrorista dei generi. Tutto il cinema di Lucio Fulci, Un Mondo a parte, Roma 2004, p. 8.
[6] Ivi, p. 204.