a cura di Ninnj Di Stefano Busà
Lucio Zinna. Nato a Mazara del Vallo nel 1938, si è trasferito giovanissimo a Palermo per seguire gli studi di filosofia e pedagogia nell’Università, dove si è laureato. Nel 1965 ha fondato a Palermo il Gruppo Beta, che interagì con il Gruppo 63. Ha operato nell’ambito dello storico “Centro Pitré”, negli anni ’70-’90. Ha collaborato con la RAI siciliana per i programmi culturali (1981-1988). Dal 2007 vive a Bagheria. Ha pubblicato, di poesia: Il filobus dei giorni (1964), Un rapido celiare (1974), Sàgana (1976), Abbandonare Troia (1986), Bonsai (1989), Sagana e dopo (1991), La casarca (1992), Il verso di vivere (1994), La porcellana più fine (2002), Poesie a mezz’aria (2009), Stramenia (2010); di narrativa: Antimonium 14 (1967), Come un sogno incredibile/Il caso Nievo (1980, 2006), Il ponte dell’ammiraglio (1986), Trittico Clandestino (1991), Un’estate a Ballarò e altri racconti (2010). È autore di saggi, prevalentemente dedicati ad autori siciliani del ’900, in parte confluiti nel volume La parola e l’isola. Opere e figure del Novecento letterario siciliano (2007). Ha curato la sezione Sicilia (testo critico e antologia) in “Dialect Poetry of Southern Italy”, a cura di L. Bonaffini (New York, 1997). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, spagnolo, francese, portoghese, greco, romeno, serbo-croato, macedone.
Illusorietà del presente
Ciascun giorno ha la sua circoscritta
infinità che – metodica – la clessidra
tenta di catturare imbrigliando
lo scorrere dei granuli. Non il passato
si sottrae alla calamita dei sensi
non il futuro in attesa è l’hic et nunc
che gioca alle tre carte e la più falsa
piega l’acuminata vista.
È perché i sensi colpisce (luce d’alba
corpo di donna ampie marine ove
l’occhio respira) che pare solido
questo presente che sotto lo sguardo
si scioglie come in acqua cristalli
di sale. Il minuto successivo rinnova
l’illusione nel suo vitale impulso.
Il reale – circostante si dice –
ha pesantezze e levità misurabili e tutto
pare spingersi oltre l’istante a rendere
inossidabile il presente. Ma tutto sparisce
con l’attimo che muore mentre più è vivo
e si nega affermandosi. Nel suo sorgere
perisce e non si abbatte – virgulto di aerea
gravità – nell’avvizzire genera. Solo
la memoria è ferma finché è data memoria
perituro macigno armonia delle sfere.
(da “La porcellana più fine”, Sciascia editore, Caltanissetta-Roma, 2002)
I molti e il loro altrove
Ormai i molti sono gli scomparsi
dal mio globo e non so che velo
li ricopra quale vento sottile
sussurri tra ora e allora tra qui e dove −
dove −come grido sommesso.
Dove siete se ancora siete chi vi cela in quale
cielo vi vela sotto quale vela navigate per quali
onde galattiche chi vi impedisce di lanciare
un amo o di agganciarlo oltre le nebbie
del ricordo se ancora in voi albergano ricordi.
Siete il mio popolo disperso nel gorgo
del tempo la mia diaspora in profondità.
Siete prossimi e inaccessibili siete compagni
silenti o smarriti in astrali spazialità
in quale comunità di trasparenze dimorate
o in quale solitudine stellare procedete
alla ricerca di un punto luminoso che nessuno
sa dove sia neanche nel vostro altrove dove sia.
(da “Stramenia”, con dipinti di Eliana Petrizzi, Arca Felice, Salerno 2010)
Partenze e arrivi
Non la partenza conta
né la fermezza o l’instabilità
del punto da cui ti muovi.
Conta quel che lasci
e cosa ti porti
(nel centro della pupilla
in un rincón del cuore)
il dolce e l’amaro.
E l’agrodolce.
Le esaltazioni e le paure.
E le albe
coi loro tramonti.
E il prossimo quando lo è.
Non l’arrivo conta
né la solidità o fluidezza
del punto verso cui ti muovi.
Conta quel che ti attende
se qualcuno ti attende
che cosa ti attendi
il cuore che vi conduci
se sono nuove le tue pupille.
E ancora le albe
coi loro tramonti.
E il prossimo se lo sarà.
Conta la vita
lì – nel suo spigolo –
a contare i passi.
(da “Almanacco Thule 2013”, Palermo 2012)
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