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LUCK (2011)
Ideatore: David Milch
Attori: Dustin Hoffman, Nick Nolte, Dennis Farina,
John Ortiz, Jason Gedrick
Paese: USA
Quando di mezzo c'è la HBO chiunque sia un minimo informato sui prodotti televisivi ha un leggero sussulto. Del resto è l'emittente che ha proposto in assoluto più serie televisive rivelatesi poi estremamente valide, tra le migliori di sempre; “Oz”, “The Wire” e “I Soprano” su tutte, altre tra cui "True Blood" e "In Treatment” o, ancora, la giovanissima “Games of Thrones”. In questo caso, tuttavia, ad essere maggiormente degno di nota è un altro titolo, ulteriore fiore all'occhiello dell'emittente televisiva, ossia “Deadwood”, essendo stata ideata come “Luck” da David Milch. Ma di questo si scriverà più avanti.
La serie ruota attorno alle corse di cavalli, come del resto i personaggi che la popolano. Scommettono, calcolano, partecipano per passione o per soldi, cercano talenti e si intrecciano tra loro fino a restituire un ambiente delineato da molti più tratti di quanto si pensi.
Milch, si diceva. È solo uno dei nomi degni di interesse, nomi che qui infatti si sprecano e si distribuiscono un po' ovunque. Tra gli attori si distinguono fin da subito due volti appena conosciuti quali Dustin Hoffman e Nick Nolte; il primo, presente anche tra i produttori della serie, è chiamato ad un ruolo che ricorda da lontano quello da lui interpretato in “Confidence”, dimenticabile pellicola del 2003; anche quella volta interpretava un boss del crimine organizzato, seppur con una vena sensibilmente più ironica. Qui invece si scherza poco e niente e il Chester di Hoffman in particolare sembra essere sempre a un passo dall'uccidere qualcuno. Il ruolo di Nick Nolte, al contrario, è praticamente quello da lui recentemente interpretato in “Warrior”, l' “old man” pieno di rimorsi, stanco e rassegnato; ulteriormente caratterizzato questa volta da una pazzia appena suggerita, stanca anch'essa, che lo porta ad esternare pensieri senza che qualcuno sia lì ad ascoltarlo. Per la parte, è inutile dirlo, Nolte è perfetto. Il personaggio era suo ancor prima di interpretarlo.
A questi due nomi se ne affiancano poi altri di tutto rispetto, i cui volti si ricordano nitidamente pur non riuscendo bene a collocarli in termini cinematografici; sono quei caratteristi che sebbene non ricoprano ruoli da protagonista contribuiscono enormemente alla riuscita di un prodotto, rendendo credibile e solida la superficie d'appoggio di quegli aspetti su cui sono puntati gran parte dei riflettori. Richard Kind (“A Serious Man”) per esempio; è fin da subito assai credibile nell'interpretare una sorta di talent scout di cavalli e fantini al servizio di Escalante, interpretato a sua volta dal caratterista Joan Ortiz (“American Gangster”, “Nemico Pubblico”). Altro valido esempio è Dennis Farina; pur non essendo necessaria alcuna presentazione, è bene sottolineare che tra le altre cose lo si è visto anche in “Manhunter”. È bene sottolinearlo perché tra i vari nomi svetta quello di Michael Mann, che non è esattamente l'ultimo dei registi. A dirigere il pilot è infatti uno sguardo registico assai riconoscibile, elegante e calibrato; si sofferma sui particolari su cui è necessario soffermarsi, trasmettendo atmosfere e pathos capaci di rendere vivo il soggetto raccontato, tanto da ritrovarsi coinvolti in una gara di cavalli pur non avendone mai vista una. Mann inoltre, e soprattutto, è il produttore esecutivo della serie e non è un caso, in tutta probabilità, che la fotografia si adatti perfettamente alla sua regia. Già la sigla d'apertura, accompagnata da “Splitting the Atom” dei Massive Attack, suggerisce con luci calde una venatura anni '80 alquanto familiare.
Il confronto con “Deadwood”, seppur diverse per soggetto, è inevitabile. Non si può fare a meno di notare come i dialoghi, allo stesso modo, non facciano particolari sconti con quel loro serpeggiare in un ambiente paludoso che sembra il loro habitat naturale. Questa volta però appaiono più distribuiti quando in precedenza erano stati affidati per lo più ad un Al Swearengen meravigliosamente interpretato, l'ho già scritto da qualche parte, da Ian McShane. Se è vero che i dialoghi che lo vedevano protagonista erano di un livello superiore, non si può neanche fare a meno di considerare che questo è solo il pilot e che nel prosieguo, anche magari con una maggiore caratterizzazione, i dialoghi potrebbero regalare non poche soddisfazioni.
Stesse considerazioni possono farsi riguardo il magnetismo dei personaggi. Swearengen rispetto agli altri sullo schermo appariva enorme, fino a far ruotare attorno a sé l'intera serie. In “Luck” invece sembra che a nessuno venga concesso uno spazio sufficiente ad imporsi sugli altri; al termine della puntata, infatti, non resta l'immagine di un volto in particolare ma, e questo è di certo un aspetto positivo, di un complesso assolutamente omogeneo. Complesso che è poi l'anticamera di un mondo, quelle delle corse, del quale la serie promette di raccontare ogni espressione, da quella più passionale e genuina a quella più viscida e calcolata.
Va detto, tuttavia, che nel suo insieme il pilot non è potente come sulla carta. Coinvolge sì, ma fino ad un certo punto. Si ha la sensazione che sia l'inizio di una serie che ha tutta l'intenzione di prendersi i suoi tempi e che sia tale da poter rivelare il suo potenziale solo sul lungo periodo. In quest'ottica quindi è naturale che il pilota non possa certo far gridare al miracolo. Certo è da considerare anche la possibilità che semplicemente la serie si riveli riuscita solo in parte e che questo primo episodio ne sia un fedele ritratto, ma fino a Gennaio, mese in cui andrà in onda, ci si concentrerà sula prima ipotesi. Del resto con nomi come quelli elencati è quanto meno lecito.