Lucy – Acquerelli e neuroscienze

Creato il 08 ottobre 2014 da Raystorm

Dovete sapere che quando avevo una decina di anni, o forse qualcuno in più, ho tentato in tutti i modi di diventare un novello Michelangelo, non riuscendoci ho provato a seguire le orme di Van Gogh, ma dopo questi primi fallimenti, alla fine, come ancora di salvataggio per sfuggire alla verità orrenda che per il disegno e la pittura ero completamente negato, mi ritrovai in mano un corso di acquerello della DeAgostini.

Tutto inizio con un corso simile a questo in un pomeriggio di Giugno

In un assolato pomeriggio di giugno, mentre mi improvvisavo artista all’ombra del portico di casa, arriva a trovarmi un caro amico, che in quanto tale si mise subito a fare lo stronzo ridendo sulle mie creazioni (a ragion veduta ovviamente), facendomi così mettere per sempre nel cassetto dei sogni sfumati il mio futuro da grande artista del dipinto. La morale di questa storiella è che non basta buona volontà e passione per cambiare la realtà delle cose. Credo che “Lucy” di Besson sia invece la prova che se non hai un amico stronzetto che ha il coraggio di fermarti, finisci per fare delle sonore figuracce, o al massimo un film come “Lucy”.

Maledetto fu quell’abbonamento regalato

Ora il buon regista francese che io ho difeso sempre e non ho mai mancato al cinema tranne per “Malavita” (si, sono uno dei dieci che hanno visto in sala pure “Adele e l’enigma del faraone”, però ho saltato quegli odiosi Minimei), tra produrre un “The transporter” qui è un “Taken” li, si è ritrovato un abbonamento a “Focus” o qualcosa di simile regalatogli dalla moglie, ed è lì che deve essere successo il guaio. La lettura continuativa negli anni della rivista scientifica, ha cresciuto in lui l’idea che oltre ad essere un regista di successo e un produttore con buone idee per far soldi, egli avesse acquisito nozioni scientifiche tali da essere anche senza nomina alcuna, un illuminario delle neuroscienze. Quindi me lo immagino partire di tutta boria in vari atenei per esporre la sua versione della puttanata: “gli esseri umani usano solo una parte delle loro potenzialità cerebrali”. Di tutta risposta avrà ricevuto risate più o meno grasse da parte del mondo accademico ed è qui che succede il guaio. Offesosi del trattamento subito, decide di trasformare le sue ricerche in una sceneggiatura cinematografica, ma proprio mentre iniziava a lavorare al soggetto qulche suo amico, tipo un Jean Reno del caso che passava di li, avrebbe dovuto mettergli di fronte la dura verità, ossia che stava scrivendo un ginepraio di cavolate.

Ed eccovi la bellissima Lucy!

Questo non è successo, infatti oggi possiamo finalmente divertirci pure noi come fece allora il mondo accademico di fronte a “Lucy”, che altro non è se non la versione “Made in Besson” di uno qualsiasi di quei “noiosi” documentari di Discovery Channel. Grossomodo “Lucy” è una enorme boiata, ma allo stesso tempo riesce a divertire e intrattenere fino al finale metafisico, che è stata più una necessità che non un scelta premeditata fin dall’inizio, una cosa del tipo “bottone rosso dell’auto distruzione”. La storia che il film ci racconta vede per protagonista la giovane e avvenente Lucy del titolo (ancora una protagonista femminile per il regista francese), ritrovarsi suo malgrado invischiata nel traffico di una droga capace di espandere le capacità cerebrali ben al di là di quanto noi uomini possiamo immaginare. Siccome per contrabbandare droga dal Giappone all’Europa il metodo più semplice pare sia inserire un sacchetto pieno della sostanza nella pancia della persona che la trasporterà, la povera ragazza si ritrova a dover viaggiare fino a Parigi per poi una volta estratto il pacchetto poter tornare nuovamente alla sua vita normale, fatta di alcol e sesso con sconosciuti nelle discoteche giapponesi.

E fu così che mi risvegliai con la droga nella pancia!

Mentre tutto sembra stia andando per il meglio la povera Lucy, che non l’ho scritto ma è interpretata da Scarlett Johansson (Besson in quanto a bellezze è sempre il primo della classe), invece di essere portata all’aeroporto, viene inspiegabilmente lasciata dentro una cella dove due sconosciuti non riuscendo a stuprarla finiscono per picchiarla, facendo fuoriuscire la droga che ha nella pancia, nel suo organismo. A quel punto tutto quello che succede è incredibile, la nostra protagonista diventa sempre più intelligente e più il suo intelletto cresce, le doti recitative della Scarlett diminuiscono, sembra impossibile ma è così. Cioè  Besson ci vuole convincere che più uno diventa intelligente, nella stessa misura assume una faccia da idota e atteggiamenti che nemmeno il peggiore nerd uscito da un anime cyberpunk nipponico avrebbe nei confronti di ciò che lo circonda. Ma la vera genialata del film sapete dove sta? Ma ovviamente nello stratagemma usato per far spegnere il cervello allo spettatore, ossia contrapporre le sequenze in cui la protagonista spara, impara lingue straniere, stringe accordi internazionali con la polizia di mezzo mondo e rilascia certificati medici alle amiche (non scherzo, Lucy ha anche una sorta di potere pranoterapeuta), con delle scene interpretate da Morgan Freeman al quale è stato probabilmente detto che stava girando una nuova puntata del suo “Sience Show”.

Ed eccovi il segreto per rendere credibile qualsiasi cosa. Farla raccontare da Morgan Freeman.

Una cosa possiamo considerare come verità assoluta, ossia che se metti Freeman in un film simile e lo releghi ad un ruolo secondario, vuol dire che hai veramente poco da raccontare e hai bisogno di un riempitivo credibile da dare in pasto al pubblico. Ecco quindi che tutto ad un tratto quanto Freeman inizia a parlare di neuroscienza, seguiamo tutti composti la lezione in silenzio e rispettosi della sua presenza, in quanto lui riesce sempre a restituire credibilità a qualunque cosa, anche se si tratta delle cavolate alla base del film. Nonostante “Lucy” di fatto sia una pellicola che lavora per addizione di eventi improbabili ha il merito di non riuscire a prendersi sul serio regalado pure dei momenti d’azione veramente spettacolari, come ad esempio la fuga dalla prigione degli stupratori giapponesi, o lo scontro finale in quel di Parigi tra polizia e mafia nipponica, che vede a capo niente meno che l’Old-Boy coreano Choi Min-sik. A dire il vero Ci sarebbe anche un adrenalinico inseguimento d’auto tra le strade di Parigi, ma non ho capito se era una sequenza del film o la pubblicità della Peugeot passata tra il primo e secondo tempo (magari a una seconda visione, domestica questa volta, riuscirò a comprendere se si trattava o meno di uno dei product placement più spodorati della storia).

Ed ecco la nostra eroina mentre da novella maga con la sola imposizione delle mani compie diagnosi mediche

Quindi “Lucy” alla fin fine diverte per tutta la sua durata, nonostante ci siano pure degli inspiegabili inserti  con materiale di repertorio preso in sconto dai magazzini di discovery channel, che ci vengono proposti mediante uno split screen che non vedevo dai tempi in cui Norman Jewison dirigeva film, arrivando poi ad un finale che si divide in due, dove ad una parte scontata ma funzionale viene contrapposta a un’altra talemte improbabile che forse solo il Wally Pfister di “Transcendence” potrebbe guardarvi come a una ottima risoluzione del tutto. A noi non resta che rimanere seduti e goderci Sister Rust di Damon Albarn, mentre riflettiamo su quanto visto e i titoli di coda scorrono sullo schermo.

Ed eccovi lo sguardo “incredulo” di una persona che ha raggiunto il 100% delle sue capacità cerebrali. XD

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