Titolo originale: Er ist wieder da
Autore: Timur Vermes
Traduttore: Francesca Gabelli
Editore: Bompiani
Pagine: 448
Prezzo: €18,50
Data di pubblicazione: 15 Maggio 2013
Trama Ricordate Le memorie di Schmeed di Woody Allen?: “Nella primavera del 1940, una grossa Mercedes venne a fermarsi davanti al mio negozio di barbiere al 127 di Königsstrasse ed entrò Hitler. ‘Voglio una spuntatina leggera’ disse ‘e non tagliatemi molto sopra.’ ’’ Schmeed, il barbiere del Reich, depositario dei segreti del Führer. Ecco: il romanzo di Timur Vermes sembra rimandare alla comicità di Allen. È l’estate del 2011. Adolf Hitler si sveglia in uno di quei campi incolti e quasi abbandonati che ancora si possono incontrare nel centro di Berlino. Egli non può fare a meno di notare che la guerra sembra cessata; che intorno a lui non ci sono i suoi fedelissimi commilitoni; che non c’è traccia di Eva. Non può non sentire un forte odore di benzina esalare dalla sua divisa sudicia e logora; e non riesce a spiegarsi l’intorpidimento delle sue articolazioni e la difficoltà che prova nel muovere i primi passi in una città piuttosto diversa da come la ricordava. Regna infatti la pace; ci sono molti stranieri; e una donna (sì, proprio una donna, per giunta goffa), tale Angela Merkel, è alla guida del Reich. 66 anni dopo la sua fine nel Bunker, contro ogni previsione, Adolf inizia una nuova carriera, stavolta a partire dalla televisione. Questo nuovo Hitler non è, tuttavia, né un imitatore, né una controfigura. È proprio lui, e non fa né dice nulla per nasconderlo, anzi, è tremendamente reale. Eppure nessuno gli crede: tutti lo prendono per uno straordinario comico, tutti lo cercano, tutti lo vogliono, tutti lo imitano. Il mondo che Hitler incontra 66 anni dopo, infatti, è cinico, spudorato, bramoso di successo e incapace di opporre qualsiasi resistenza al “nuovo” demagogo. Al massimo riesce ad apporre il compulsivo “mi piace” “non mi piace” dei social network. Farsa, satira, pura comicità, analisi spietata e corrosiva del nostro tempo, il romanzo d’esordio di Timur Vermes è un gioiello di intelligente umorismo, ed è divenuto in breve tempo, grazie al passaparola, un fenomeno editoriale con pochi precedenti.
«Ho anche trovato un nuovo slogan.Lui è tornato. Immaginate la persona peggiore che abbiate mai conosciuto. Immaginate il mostro più pauroso che vi spaventava quando eravate piccoli. Immaginate il film dell'orrore che vi ha più terrorizzati nella vita. O semplicemente immaginate la persona, vivente o fittizia, che non vorreste mai incontrare dal vivo. E immaginate che in questo esatto momento si materializzi davanti a voi. Qual è la vostra prima reazione? Paura, spavento, terrore? Forse. Ma penso che la primissima istintiva reazione a quell'incontro sia l'incredulità. La negazione. Il non poter accettare l'esistenza di quell'uomo/donna/mostro che sia. Ci si convincerà che è solo la nostra immaginazione: quell'essere non è il nostro spauracchio di una vita ma una persona che gli somiglia in maniera impressionante. È questo il punto di partenza del romanzo di Timur Vermes. Ambientato in Germania ai nostri giorni, l'autore ha deciso di resuscitare il personaggio più terribile di tutti i tempi, soprattutto per il popolo tedesco: Adolf Hitler. Un Adolf Hitler che compie inspiegabilmente un salto temporale risvegliandosi nella Germania del 2011 senza capire cosa stia accadendo. Lui è sempre la stessa persona, ma il mondo circostante è del tutto diverso. Cosa accadrebbe se Hitler ritornasse? La gente fuggirebbe? Qualche nostalgico gli giurerebbe fedeltà e lo seguirebbe? La polizia lo arresterebbe e verrebbe poi processato? Niente del genere. La gente non ha paura di lui, perché nessuno crede sia lui. In seguito a un piccolo malinteso viene scambiato per un comico che vuole imitare il Führer e da questo malinteso inizierà una rapida carriera televisiva che avrà dei pericolosi risvolti politici. Lui torna e la gente ride. Lo acclama, si diverte, lo vuole ascoltare. Lui torna e trova tappeti rossi ad attenderlo, altro che terrore e odio. Lui torna ma la gente non riesce a vederlo davvero, la gente vuole vedere qualcuno che la faccia ridere e pensare che lui non potrà mai tornare. Di fronte a questo romanzo il lettore passa attraverso diverse fasi. Stupore per la genialità dell'idea. Orrore per l'eventualità della stessa. Ammirazione per la capacità di dare alla storia un risvolto ironico. Piacere per la scorrevolezza della lettura. Distacco per i tentativi di umanizzare il Führer ed empatizzare con lui. Repulsione per la facilità con cui Vermes riesce a rendere simpatico un personaggio che non merita nessun moto di simpatia. Un libro che si presenta come un testo impegnativo e magari profondo, che si rivela una lettura scorrevole e divertente, ma che mantiene sempre un risvolto serio e preoccupante. A volte pericoloso. Lui è tornato non va sottovalutato. Forse non sarà il gran romanzo che ci si aspettava, perché troppo spesso cade nel comico, perché troppo frettoloso in alcuni passaggi - soprattutto il finale - perché poco credibile in altri, ma nasconde forti denunce e accuse contro la società e la situazione politica non solo tedesca ma universale. La lettura potrà ogni tanto divertire, ogni tanto far arricciare il naso, ogni tanto provocare rabbia. O disperazione. O una serie di riflessioni e associazioni che purtroppo non avranno mai nulla di positivo. Ci si troverà a pensare con quanta facilità un comico che ha grande visibilità e pubblico possa iniziare a influenzare il popolo anche politicamente. Ci si troverà ad avvertire qualche brivido pensando che non è certo solo finzione letteraria che un comico diventi una figura politica. O peggio ancora, che un politico cerchi di attirare gli elettori con battute (discutibilmente) divertenti. Ci si ritroverà con le mani nei capelli pensando che se addirittura Hitler può partire dalla comicità per conquistare credito e fiducia, allora una qualsiasi persona meno terribile di lui potrebbe apparire come un santo. E da qui inizierebbero altre considerazioni che finirebbero poi in una valigia fatta di fretta e una fuga verso paesi migliori. Date una chance a questa lettura, magari poi alla fine si decide di fuggire insieme.
È l'elemento che accomuna tutti i manifesti. Racchiude in sé tutti i vecchi meriti, i vecchi dubbi e per giunta ha una sfumatura umoristica e conciliante che può attirare dalla nostra parte gli elettori di quei Pirati e altri giovani.
Lo slogan dice: "Non era tutto sbagliato."
Si può cominciare da questo.»