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Lui era Tony Scott

Da Lucamangogna

Lui era Tony Scott

Arriva finalmente a Palermo in anteprima, dopo l’ottima accoglienza ricevuta in estate al Festival di Locarno, il documentario di Franco Maresco Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz.

L’occasione è data dalla rassegna “Franco Maresco, Io e il Jazz” organizzata dal Goethe Institut del capoluogo siciliano la proiezione in anteprima avrà luogo giovedì 3 marzo al Cinema Jolly a partire dalle ore 21.

E passiamo un po’ a scorrere cosa si può celare dietro Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz.

Pare piuttosto evidente che il titolo del documentario di Maresco non avrebbe potuto essere più emblematico.

Il regista palermitano, dopo un lungo lavoro, così si sofferma pedissequamente sulla vita e l’opera del grande clarinettista italo-americano (originario di Salemi) Tony Scott, al secolo Anthony Sciacca, scomparso nel 2007 a 86 anni, dopo essere finito da tempo nel dimenticatoio. Il film, prodotto da Cinico Cinema, Rai Cinema e dalla Film Commission Sicilia, è stato, come già detto,  presentato fuori concorso al Festival di Locarno, prodotto da Giuseppe Bisso, con la sceneggiatura dello stesso Maresco e di Claudia Uzzo e una realizzazione che è costata tre anni di lavoro.

L’intento ultimo di Maresco è stato quello di raccontare la vicenda umana e musicale, di quello che è stato considerato come il più grande clarinettista del jazz moderno, avvalendosi delle immagini provenienti dagli archivi cinematografici di tutto il mondo compresi quelli italiani dell’Istituto Luce e degli archivi Rai.

Un eccellente pretesto per raccontare l’evoluzione musicale e sociale dagli anni ’40 a oggi, esplorando i progressi, le scoperte e le innovazioni del grande musicista, che non sono mai stati seguiti da un giusto riconoscimento nè in patria nè in Italia, dove si trasferì definitivamente verso la fine degli anni ’60.

Una vicenda umana insomma, che si  presta come occasione per raccontare l’imbarbarimento progressivo della società. «Dei tanti sbagli che Tony Scott fece nella sua vita – dice Maresco – il più grave fu senza dubbio quello di stabilirsi in Italia alla fine degli anni ’60. L’Italia con Tony dimostrerà di essere il paese incivile e imbarbarito che tutto il  mondo conosce. Certo Tony Scott fu un uomo tutt’altro che facile, soprattutto negli anni della maturità, ma il paese in cui erano nati i suoi genitori non lo capì, non ne capì la grandezza, o forse la capì e proprio per questo lo emarginò. A parte pochi amici che lo sostennero fino alla fine, per il resto col tempo si ridusse a suonare in giri che non erano certo alla sua altezza, senza che le istituzioni e i grandi festival lo invitassero mai a esibirsi sui loro palcoscenici».

«Il film racconta, per esempio – continua il regista – che nei “militanti” anni ’70 Tony fu visto dai musicisti dell’avanguardia di allora addirittura come un fascista, perché vestiva di nero e aveva un quartetto con Romano Mussolini. Così, capitava che a un concerto il pubblico scattava sull’attenti, facendo schioccare i tacchi. Ci sarebbe da ridere se non fossimo già impegnati a piangere. Nella parabola discendente, anche un film con Piero Chiambretti. Ecco, seguendo Tony Scott, raccontiamo gli ultimi trent’anni di vita italiana. Uno peggiore dell’altro, fino alla deriva attuale. Tony Scott è la metafora della morte dell’arte. Lui amò veramente il jazz, più di quanto si possa immaginare. Per il jazz rinunciò ad arricchirsi, a diventare miliardario. Ma questo non è un film sul jazz ma un film sul personaggio, che permette allo spettatore di entrare nel vivo del musicista. Lo spettatore finisce per immedesimarsi in Tony Scott. Il grande clarinettista  muore dimenticato da tutti nel 2007, a 86 anni, in un paese che non lo ha mai riconosciuto come il grande artista che era».

Le dichiarazioni di Maresco sono, a mio modesto avviso, la pietra miliare sul quale costruire una pesante riflessione che non abbraccia solo il suo documentario, ma tutti gli ultimi sessant’anni di storia italiana.



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