Il frastuono è impressionante. All’orizzonte si vedono i primi lampi, i tuoni fanno da grancassa proprio sopra le nostre teste. Avessimo paura di qualcosa, sarebbe davvero qualcosa di cui avere paura. Ma non abbiamo paura di niente. Non di questo mondo che si sta esibendo per noi. Lo conosciamo bene questo mondo, lo abbiamo vissuto, ci è morto fra le braccia. Sappiamo la sua forza e sappiamo la sua debolezza. È altro che ci fa paura, anche se in questo momento non sapremmo dire cosa
Questo ci hai lasciato su Facebook il diciotto agosto: il frastuono, poi il silenzio. Senza alcuna paura, senza niente, con le braccia piene di mondo morto, tra le tue braccia. E l’altro? All’alba, quando mi piaceva salutarti, perché sapevo che quelle ore del giorno ti erano amanti e a loro rispondevi sempre: presente. Ti venivo a cercare con gli inverni di neve e le estati torride della tua Bologna. E la tua promessa? Non l’hai mantenuta: “No, che non me ne vado. Non ora”
Così, vorrei farti arrabbiare, sperando che tu, dovunque tu sia, possa leggere questa cosa svenevole, dolciastra che tanto ti vedo già, storcere il naso. E, mi raccomando, arrabbiati! Perché io con te lo sono, veramente!
La rabbia non serve: Vivere è una questione di fortuna, morire una malasorte, chi comanda è il caso e il caso ha voluto che io nascessi in una grande casa di campagna, senza luce, acqua corrente e riscaldamento.
Passavo le giornate con un cagnolino, spesso da solo. Avevo paura dei fulmini, ora non ne ho più. Ora, mi danno una forte esaltazione. Sono l’immagine di una vera, non traslata realtà, come poche se ne vedono. Un po’ come il terremoto, che mi affascina tantissimo e per il quale ho una sensibilità da animale. E’ bello e terribile perdere la terra da sotto i piedi. Soprattutto se capisci che poi la riconquisterai
Luigi, ma c’è una terra da riconquistare lì dove sei? Ci sono fulmini? Sai qui c’è un terremoto e le scosse sono continue e devo scrivere, e vorrei tu leggessi. Vuoi?
Certo, le parole spesso dicono molto di più di quello che sembra. Siamo noi che abbiamo la sensazione che non basti mai quello che dicono. Ma non è vero. Ce ne accorgiamo con l’esperienza…Io sono sempre stato un tipo molto inquieto e spesso il mio bisogno di novità, di cercare nuove strade mi ha permesso di anticipare i tempi. Così è successo con i manga, con alcuni fumetti e con la rivalutazione di un certo cinema considerato “meno degno”
Nel 1978 stabilisci il tuo primo contatto con il mondo del fumetto
La cooperativa culturale di Ravenna “Tuttifrutti, mi affida il supplemento fumetti di “La città futura”, il settimanale della Federazione Giovanile Comunista Italiana, allora diretto da Ferdinando Adornato. Nello stesso anno, metto su la mia prima casa editrice, L’Isola Trovata, nome ispirato a un brano e a un LP del 1971 del cantautore Francesco Guccini – L’isola non trovata – (ripreso a sua volta da una poesia di Guido Gozzano). Volevo tappare le falle che altri editori, da Rizzoli a Mondadori, stavano lasciando nel catalogo generale del fumetto italiano. Nel 1982, l’Isola Trovata manda in edicola una rivista: “Orient Express”. Fra soci che entrano ed escono, nel 1984 la casa editrice è inglobata nel gruppo di Sergio Bonelli.
Ma tu vai con l’ultimo numero della rivista. Perché?
Orient Express aveva svolto la sua funzione. Le sue pagine, tuttavia, hanno ospitato inattesi capolavori consegnati alla storia del fumetto italiano, come: Rapsodia ungherese, di Giardino; L’uomo che uccise Ernesto “Che” Guevara di Magnus; Il primo Air Mail di Micheluzzi; Il detective senza nome, di Rotundo e Mignacco; la serie dei racconti di Zampino, di Ferrandino e Cossu; Il caso di Marion Colman; Luna caliente e La figlia di Wolfland di Saudelli.
Nel 1985, con le francesi éditions Glénat e l’italo-argentina agenzia Quipos, fondo la Glénat Italia, con la quale si rilancia un grande personaggio del fumetto italiano, il Lupo Alberto di Silver. Il mio primo libro Destinazione utopia (Eleuthera, 1988).
Tre “buoni e perfetti”: Topolino, Tiramolla, Pecos Bill incontrano tre “neri e cattivi” (Kriminal, Satanik, Diabolik & Co.). E i buoni diventano personaggi negativi, vittime di un mondo che fa prigionieri delle proprie ansie, di sogni irrealizzabili. A cambiare sostanzialmente gli orizzonti dell’avventura sono il marinaio Corto Maltese (dal 1967), il pilota Mister No (dal 1975), il cow-boy Ken Parker (dal 1977), tre personaggi sempre in bilico tra un’illusione e l’altra. Nel 1989, con Luca Boschi e Roberto Ghiddi creo Granata Press. Arrivano le pubblicazioni dei manga, le riviste “Nova Express” e “Nero”, i fumetti americani e italiani, i romanzi, i saggi, infine i video degli anime giapponesi. Nel 1996 Granata Press finisce, e progetto e dirigo due collane (“Euronoir” per Hobby & Work e “Vox” per DeriveApprodi) destinate a rivelare scrittori come Maurice G. Dantec, Pascal Dessaint, Anne Holt, Thierry Jonquet, Vittorio Bongiorno, Piergiorgio Di Cara, Franco Limardi, Michele Monina, Riccardo Pedrini (ora Wu Ming 5), Giampaolo Simi.
Nel 2000, inizio a curare per l’editore Fazi la traduzione delle opere di Léo Male e sempre nello stesso anno elaboro il progetto della Noir per Einaudi Stile Libero. All’inizio del 2007, la collaborazione con il Gruppo Perdisa, creo il marchio Perdisa Pop. Ritrovo diversi vecchi amici ed è occasione per incontrarne di nuovi vecchi amici: Rosario Palazzolo, Barbara Baraldi, Alessandro Zannoni, Sacha Naspini, Alfredo Colitto, Elisabetta Bucciarelli, Alessandro Berselli, Antonio Paolacci, Alberto Custerlina, Silvia Tebaldi, Stefania Nardini, Roberto Saporito, Gordiano Lupi, Marilù Oliva, Remo Bassini, Giona Nazzaro, Stefano Domenichini, Paola Ronco, Franz Krauspenhaar, Matteo Righetto, Mauro Baldrati, Gianluca Chierici e Carlo Cannella.
Il 5 aprile 2011, a trentatré anni dall’uscita del primo numero del supplemento a fumetti de “La Città Futura”, decido di smettere con l’editoria.
Perché, Luigi?
Perchè sento l’esigenza di lavorare per me. Non ti pare una scelta logica?
Sì, una scelta sentita per te stesso. Posso chiederti una cosa?
Chiedimi tutto quello che vuoi
Con quale criterio si sceglie un romanzo da pubblicare e uno da scartare?
Ecco. Ho smesso perché non capivo più questo criterio. Lavoravo per un piccole editore (Perdisa Pop) dove facevo quello che volevo, però il mercato mi penalizzava. Lavoravo anche per Rizzoli e ogni mia proposta veniva scartata, perché poco commerciale. Il criterio, grosso modo, almeno per la narrativa è: libri con protagoniste donne, storie cosiddette forti, ovvero con un bel drammone che si sviluppa nel corso della pagine, finale rassicurante. E’ poi proibita qualsiasi ricerca stilistica, la lettura dev’essere piana, senza difficoltà di interpretazione. Libri che alleggeriscono la testa, insomma, non che ti strizzano le budella, come piacciono a me. La poesia è sempre più esercizio. Si leggono fra di loro e sempre fra di loro si dicono quanto sono bravi.
Per i poeti, hai ragione, sempre pronti a stabilire primati di bravura, fino a formare vere e proprie caste poetiche. Per quanto riguarda l’editoria non so se sono gli editori a formare opinioni o la gente che chiede un’opinione, che l’editoria offre. Meccanismo troppo perfetto nella sua perversione.
Credo la colpa maggiore sia nella maggioranza dei lettori. L’editoria si adegua a qualsiasi richiesta. Oggi, grandi scrittori del passato non sarebbero pubblicati. E ti parlo di gente neanche troppo “antica”, persino Calvino avrebbe delle difficoltà. Non parliamo di Giuseppe Berto o di Goffredo Parise, che sono sì ancora ristampati, ma perché sono ormai dei classici. Se un esordiente si presentasse con Il male oscuro verrebbe invitato a scrivere una storia più edificante.
Luigi, so che ti piace.
Mi piace molto Janis Joplin. Non mi piace tutta la musica, la uso per caricarmi, anche quella classica. Ma quando scrivo ci dev’essere il silenzio assoluto intorno.
Hai mai notato che quando va via la corrente, c’è un altro tipo di silenzio, come in campagna?
Ho scritto un romanzo – Senza luce – proprio per raccontare il buio e il silenzio che piombano su un paese a causa dell’interruzione dell’elettricità. Fra quelli pubblicati è il mio miglior libro. La campagna è un sogno. Io ci sono nato, ne ricordo i disagi (allora non avevamo né elettricità, né gas, né acqua corrente), l’inverno è faticosissimo. A me sarebbe piaciuto vivere sugli Appennini, quelli romagnoli dove ci sono dei paesi magnifici. Adesso, sono tutti sotto due metri di neve. Insomma, mica è facile coordinare i sogni con la realtà. L’importante è avere un altrove dove andare, anche solo mentalmente. E noi l’abbiamo.
Luigi che rapporto hai con i personaggi dei tuoi romanzi?
Tutti i miei personaggi sono inventati. E tutti hanno qualcosa di me. Rubo delle situazioni, invece. Dei dialoghi, delle cose astruse che mi raccontano. Tipo che un’amica di una mia amica ogni settimana si spalma il seno di ricotta perché eviterebbe il rilassamento e la caduta. E ha trent’anni. Mi fanno sorridere queste cose, e allora le rubo. E rubo solo le cose che mi sembrano divertenti. Su quelle drammatiche persiste un pudore che mi impedisce di farle mie.
Che rapporto hai con il dolore dei tuoi personaggi?
Quando ho scritto “Il male stanco“, un libro che raccontava crimini reali e vi ragionava, a un certo punto tutte queste vittime mi urlavano dentro e per un bel po’ non ho voluto sentir parlare di morti violente. Poi, ho trovato un modo forse più grottesco di scriverle e le cose sono andate meglio.
Luigi, sei sveglio?
Non mi sveglio mai dopo le quattro. Però fra poco torno a dormire per un’oretta, sono stanco.
Mi metto un po’ in silenzio, mi prendo un periodo sabbatico. Ma tornerò. E tanto tu sai dove trovarmi.
Sì, Luigi. Riposa. La rabbia hai ragione: non serve. Ci ritroveremo da qualche parte, tu ateo e io con il dogma delle cose che non possono finire, ma restano, come te accanto a noi. Un bacio, Luigi. Ciao
Il 13 marzo 2013, l’ultima creatura di Luigi vede la luce con le edizioni Il Maestrale.
“Amanda è una giovane giornalista insoddisfatta. Arturo è proprietario di due farmacie e ha un rapporto difficile con il figlio Orfeo, che odia il mondo e vorrebbe ripulirlo da ogni sporcizia. Armida è un’anziana sola che vive nei propri ricordi. Gregorio fa l’anatomopatologo e si ritrova nei luoghi più impensati. Abitano tutti in una palazzina in sofferenza per i disagi provocati dai lavori dell’Alta Velocità, che fanno tremare le case e provocano crepe ovunque con le loro gigantesche talpe d’acciaio. Ma non sono solo i lavori a disorientare l’esistenza: il tempo sembra accelerare e chiedere a ognuno di adeguarsi alla sua velocità. Amanda riesce a visitare il cantiere sotterraneo per scrivere l’articolo della vita. Arturo è sempre più prigioniero dell’incapacità di gestire i propri affetti e Orfeo convoglia il proprio odio in piani criminali. Un romanzo che ha la tensione del thriller e l’autorevolezza stilistica del classico. Il ritratto privo d’indulgenza di una umanità smarrita, capace soltanto di raccattare soluzioni di comodo che la fanno precipitare sempre più verso un abisso dal quale sarà impossibile ogni riscatto.” http://www.edizionimaestrale.com//Products/224/Crepe
et merde, alors.
Avrei voluto vederti invecchiare
mani dietro la schiena a guardare i cantieri
brontolando impaziente e stizzito
avvolto di cinismo distaccato
col bavero rialzato alla francese
fulminare con sguardo corrucciato
gli inciampi gli scalini i dissuasori
e poi soccombere fingendo indifferenza
a risate affetto e calore
e borbottando fare una carezza
di parole di occhi di sorriso.
- La poesia, dedicata a Luigi, è di Gea Polonio.